Sconfitto pochi giorni fa a Copenhagen dove aveva invano sostenuto la candidatura di Chicago alle Olimpiadi del 2016, Barack Obama si è preso nella vicina Oslo una sorprendente e singolare rivincita. Sorprendente perché mai in questo dopoguerra il Premio Nobel per la pace era stato attribuito a un presidente Usa in carica, men che meno a un presidente in carica da soli nove mesi. Singolare perché Obama, portatore di intenti che meritano tutto il nostro apprezzamento, non ha ancora avuto modo di realizzarli e tra pochi giorni potrebbe esporsi al paradosso di un Nobel per la pace che manda altri soldati a combattere una guerra sanguinosa. L’Afghanistan, dove crediamo che sia giusto restare e farsi valere, è soltanto un esempio della irresistibile fretta che sembra essersi impossessata dei giurati di Oslo. Obama vuole stabilizzare il Paese e ha messo nel mirino un futuro disimpegno da Kabul, ma nessuno può sapere oggi se simili traguardi, che meriterebbero non uno ma due Nobel, saranno davvero raggiunti.
E la stessa attesa di verifica accompagna le altre iniziative del presidente: la mano tesa all’Iran, il rilancio del negoziato di pace tra israeliani e palestinesi, la visione di un pianeta senza armamenti nucleari, l’apertura al mondo islamico, la nuova sensibilità sulla difesa dell’ambiente. Tutte novità che si trovano ancora in rampa di lancio, e che da sole non giustificherebbero il Nobel. A meno che quello assegnato ieri a Obama voglia essere un «Nobel contro»: contro George Bush. Barack Obama è stato premiato per il suo nuovo spirito di dialogo, ha notato Angela Merkel. Per la scelta, cioè, di una diplomazia multilaterale e più pragmatica che idealista, nemica giurata dello «scontro di civiltà» previsto da Samuel Huntington, estranea alla tesi che lo strumento militare possa servire a portare la democrazia dove non c’è. Ebbene, non è forse un atto d’accusa contro il suo predecessore, questo Nobel a Barack Obama che non si cura delle realizzazioni concrete e celebra invece la sua meritevole diversità?
Se così è andata, crediamo che a Oslo sia stato commesso un errore. Perché la scelta di premiare Obama rivela un contenuto ideologico, mentre Obama la sua nuova politica la riassume proprio nel non avere approcci ideologici. Il presidente, lui per primo sorpreso, ha interpretato forse meglio di tutti il premio ricevuto: un semplice stimolo a continuare, un incoraggiamento, con la segreta speranza che il Nobel non alzi troppo l’asticella e non accentui la sua vulnerabilità sul fronte interno.Vogliamo credere anche noi che si tratti di un incoraggiamento, al quale ci associamo. Senza poter ignorare, però, che da ieri si è aperta una nuova era: quella dei Nobel sulla fiducia.
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