Barack Obama to Journalists: No Questions

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Risposte immediate ad ogni attacco ricevuto, giornalisti tenuti a debita distanza, meno conferenze stampa e più dialogo diretto con gli americani ricorrendo al web come agli eventi pubblici: è il nuovo vademecum di Barack Obama per i rapporti con i media, redatto nell’intento di proteggere il Presidente da una stampa percepita come aggressiva.

Il memo scritto da Dan Pfeiffer, direttore delle comunicazioni della Casa Bianca, riporta le relazioni fra Obama e i media al punto di partenza, ovvero all’inizio del febbraio 2007 quando lanciò da Springfield, in Illinois, la campagna che lo avrebbe portato alla Casa Bianca. Obama allora temeva il peggio e blindò i messaggi esterni della campagna affidandone fattura e diffusione al rigido controllo di tre stretti collaboratori – il guru politico David Axelrod, l’architetto elettorale David Plouffe e il portavoce Robert Gibbs -, la disciplina imposta fu ferrea, venne rispettata da ogni militante della campagna, e contribuì alla vittoria finale grazie al fatto che la maggioranza dei media fece propri i messaggi-chiave su speranza e cambiamento. Ad elezione ottenuta, circondato dal favore di gran parte di giornali, siti web e tv, Obama decise di rinunciare a quella rigida impostazione e nel 2009 è stato protagonista di un’esposizione pubblica senza precedenti per un Presidente degli Stati Uniti, evidenziata da una raffica di conferenze stampa alla Casa Bianca, 161 interviste in 12 mesi – oltre il triplo del predecessore George W. Bush – e una miriade di dichiarazioni, battute, apparizioni tv e copertine di magazine, dallo sport alla musica. L’assenza di altri volti dell’amministrazione in grado di attirare l’attenzione del grande pubblico – anche per la scelta di Hillary Clinton di avere un basso profilo – ha ulteriormente aumentato la visibilità del Presidente.

Ma i risultati non sono stati quelli sperati perché gli americani hanno finito per individuare in lui il maggior responsabile della perdurante crisi economica evidenziata da una disoccupazione arrivata alla soglia del 10 per cento. E di conseguenza i media sono diventati più aggressivi, con i giornalisti accreditati alla Casa Bianca impegnati a bersagliare il Presidente e i suoi collaboratori su deficit record e riforma della sanità impantanata proprio come facevano con Bush sulla guerra in Iraq. «Nelle conferenze stampa puntano a mettersi in vista facendo concorrenza al Presidente» ha commentato un collaboratore del Presidente. E’ in questa cornice che si è consumato il calo nei sondaggi di Obama – per la Cnn è al 49 per cento di popolarità – e il conseguente timore dei democratici di andare incontro ad una cocente sconfitta nelle elezioni di novembre per il rinnovo del Congresso, come dimostra anche la defezione del senatore dell’Indiana Evan Bayh che ha deciso di non ricandidarsi facendo capire che il vento soffia a favore dei repubblicani.

Per rovesciare la situazione i tre fedelissimi Axelrod, Plouffe e Gibbs si sono riuniti a più riprese durante la settimana che ha visto Washington paralizzata dalla tempesta di neve, affidando a Pfeiffer il compito di ridisegnare l’immagine del Presidente e quindi di allontanarlo quanto più dai media. Per riassumere la svolta Pfeiffer dice: «Faremo solo ciò che ci servirà, nulla di più». Da qui l’inversione di tendenza: meno conferenze stampa e più comizi, interviste solo con i maggiori conduttori in orari di grande ascolto – come avvenuto sulla Cbs prima del Super Bowl – e disposizione al portavoce Gibbs di «ribattere colpo su colpo ad ogni attacco repubblicano» come avveniva in campagna elettorale.

Gibbs si è adattato in fretta: prima è sbarcato su «Twitter» con la sigla «PressSec» per poter comunicare in tempo reale messaggi brevi a migliaia di giornalisti e poi ha replicato a tinte forti agli attacchi ricevuti da John Brennan, consulente anti-terrorismo del Presidente, per i presunti errori compiuti nell’interrogatorio del kamikaze nigeriano arrestato a Detroit a Natale. Sempre a questa strategia «aggressiva e mirata», come spiega Pfeiffer, è da ricondurre quanto avvenuto domenica allorché la Casa Bianca ha chiesto e ottenuto dalla Cbs un’intervista al vicepresidente Joe Biden per ribattere agli attacchi giunti da Dick Cheney poco prima dagli schermi della Abc. Solo pochi mesi fa Gibbs irrideva gli affondi di Cheney sulla «scarsa competenza di Obama sulla sicurezza nazionale» ritenendo che «i dibattiti con lui sono finiti nel 2008» ma adesso il nuovo vademecum impedisce di «sottovalutare ogni avversario».

Resta da vedere se il metodo di comunicazione che nel 2008 portò Obama alla Casa Bianca gli consentirà nel 2010 di governare in maniera da conservare la maggioranza democratica in entrambi i rami del Congresso. A credere che possa funzionare è Plouffe, convinto che «ogni elezione in fin dei conti è una scelta» e dunque concentrare ogni messaggio contro i repubblicani «servirà a far capire che non c’è un’alternativa ai democratici» mentre ad avere qualche dubbio è proprio Pfeiffer che ammette: «Non c’è alcuna strategia di comunicazione in grado di far apparire il 10 per cento di disoccupati come qualcosa di positivo per l’America».

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