Chiunque vinca al voto di midterm, l’America ne uscirà più isolazionista
Per Casa Bianca, democratici, Tea Party, repubblicani ed elettori ora contano soltanto le questioni dentro i confini
“Gli americani si sono dimenticati del resto del mondo”, scrive l’edizione internazionale di Newsweek nel servizio di copertina. Dai dibattiti elettorali una questione centrale dell’ultimo decennio come la guerra in Afghanistan è scomparsa; l’Iraq sembra un lontanissimo ricordo, anche se i soldati americani sono ancora nelle strade di Baghdad; la concorrenza della Cina è una minaccia presa seriamente soltanto quando si evocano conseguenze immediate e catastrofiche per l’economia americana. L’Iran è un pericolo eterno, quindi mai davvero tangibile; il processo di pace fra israeliani e palestinesi un giochetto inconcludente per diplomatici. Tutti gli altri dossier di politica estera (dalla Corea del nord allo Yemen, alla Turchia, per non parlare dell’Unione europea) sono finiti in un cono d’ombra, completamente irrilevanti rispetto al tema dell’economia interna, unico dominatore delle elezioni di martedì prossimo.
Il senatore repubblicano Lindsey Graham si chiede “se ci sia stato un dibattito serio fra qualsiasi candidato – repubblicano, democratico, del Tea Party, libertario, vegetariano – riguardo alla nostra politica sull’Iran? Avete visto un solo spot elettorale riguardo alla nostra strategia in Afghanistan. Questi sono giorni in cui si decide un enorme cambiamento della politica di Washington, e sembra che non si sappia nemmeno che questa nazione è coinvolta in due guerre, e che tutti noi siamo di fronte a minacce che potrebbero cambiare la storia dell’umanità. Non riesco a capire come possa essere successo”. Le minacce globali non sono scomparse dalla scena, ma ad essere scomparsa è la loro percezione nell’opinione pubblica e di conseguenza nei vocabolari dei partiti che si scontrano alle elezioni di midterm. I dettami del neoisolazionismo americano impongono l’elisione pubblica di ogni “issue” che cada fuori dai confini, riflesso di un’America preoccupata dalla crisi economica, attanagliata dalla disoccupazione e sostanzialmente indifferente a tutto il resto. Il contrario di quanto visto negli anni dell’Amministrazione Bush.
Secondo un sondaggio del New York Times, il 60 per cento degli elettori americani è convinto che l’economia sia il problema fondamentale, mentre soltanto il 3 per cento giudica la guerra in Afghanistan una questione sulla quale basare l’appartenenza politica; i numeri pubblicati ieri dal Washington Post dicono che la maggioranza degli americani teme di non riuscire a pagare le rate del mutuo. Come il clima degli elettori è dominato dalle preoccupazioni domestiche, così lo è quello dei candidati: i democratici non aspettavano altro che abbattere il mito dell’America “poliziotto globale”, e la narrativa repubblicana è ostaggio del Tea Party, forza calibrata esclusivamente sulla riforma del potere interno. Anche per loro l’America che volta le spalle alla politica estera è una vittoria.
Brian Katulis, analista di politica estera del Center for American Progress, il think tank più vicino a Barack Obama, dice al Foglio che “le difficoltà economiche hanno certamente ridotto il peso della politica estera in queste elezioni di midterm, ma la percezione delle questioni globali riprenderà con le presidenziali del 2012, perché sono di fatto ineludibili. Abbiamo 160 mila soldati in medio oriente, una forte presenza in Corea, il dossier iraniano, molte cose da discutere con l’Europa. Non credo l’impegno americano si sia ridotto, è che alla gente non interessa”. Però nemmeno ai partiti, a quanto pare. “Ma si dovranno porre nuovamente alcuni problemi, nell’ordine: l’Iran, la Cina e i tagli al budget della difesa. Su questo i democratici sono uniti nel sostenere un basso profilo dell’America – anche se certe scelte di Obama sull’Afghanistan hanno spiazzato i liberal – ma i repubblicani non sono mai stati divisi sulla politica estera come ora. Nemmeno durante la Seconda guerra mondiale c’erano correnti così distanti”. Con la fine dell’Amministrazione Bush i neoconservatori e la loro visione globale sono finiti nel dimenticatoio, lasciando spazio alle forze centripete dei libertari, che pur di tagliare la spesa sono disposti a ridurre l’impegno militare. Vincerà la fazione neoisolazionista? “Credo che i neocon torneranno – dice Katulis – e se anche non fossero gli stessi attori dell’Amministrazione Bush, tornerà a farsi sentire una spinta verso l’esterno. Anche se è evidente che questa tornata elettorale così importante ha tagliato fuori ogni discussione all’esterno dei confini”.
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© – FOGLIO QUOTIDIANO
di Mattia Ferraresi
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