Obama s’immola al re della satira
per riconquistare il voto dei giovani
Il presidente è il primo a partecipare al popolare Daily Show di Jon Stewart. Che lo incalza con domande e battute fulminanti. E sabato ha dato appuntamento ai suoi fan per la manifestazione “restauriamo la salute mentale dell’America”
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
Obama s’immola al re della satira per riconquistare il voto dei giovani
NEW YORK – “Yes we can, but…”. È uno degli slogan più celebri nella storia della politica americana quello che trascinò Obama alla vittoria nel 2008. Ecco che con l’aggiunta di quel “ma…” si tinge improvvisamente di scetticismo e autocritica. È Obama in persona che fa il controcanto a se stesso, sul palcoscenico del più celebre talkshow di satira politica. Ha di fronte Jon Stewart, della scuderia di Comedy Central, al Daily Show. Obama scende nell’arena per un esercizio ad alto rischio: fare dell’autoironia per riconquistare il voto dei giovani (l’audience dominante del Daily Show), senza regalare punti ai repubblicani a cinque giorni dalle legislative.
“Per farmi eleggere nel 2008 – dice il presidente, per la prima volta sul set di Comedy Central da quando è stato eletto – vi ho promesso un cambiamento in cui potete credere. Non ho promesso il cambiamento in 18 mesi”. Dà lezione di realismo, ricorda che “questa Amministrazione ha ereditato la crisi più grave dopo la Grande Depressione”. Il pubblico gli è amico, lo dimostra l’applauso interminabile che accoglie il suo ingresso. Ma Stewart non gli fa sconti, lo incalza interpretando una diffusa delusione: “La vostra agenda di riforme è stata timida”. Quando Obama ribatte “abbiamo fatto più di quello che credete” il conduttore lo infilza implacabile: “Davvero? Allora lei sta per organizzare una festa a sorpresa, offrendo posti di lavoro in abbondanza?”.
Obama ha rischiato e forse non ha raccolto molto, accettando l’invito del temibile Stewart. Non aveva altra scelta. L’ultimo sondaggio di New York Times e Cbs, a ridosso delle elezioni di mid-term, preannuncia per il suo partito una sconfitta di proporzioni notevoli. Donne, cattolici, elettori indipendenti, ceti medio-bassi: intere fasce di elettorato che diedero un appoggio decisivo a Obama nel 2008 oggi voltano le spalle ai democratici. È un duro colpo alle speranze del partito di contenere le perdite martedì. Lo spostamento di consensi è pesante: per esempio è la prima volta che le donne sono a maggioranza intenzionate a votare repubblicano, da quando viene fatta questa rilevazione (1982). Su tutto domina la situazione economica. L’alta disoccupazione è ormai imputata in parte alla stessa politica economica di Obama. La destra è premiata perché viene considerata più capace di ridurre il deficit. Andando al Daily Show il presidente fa un ultimo tentativo di rimobilitare i giovani, altra constituency che per lui fu decisiva nel 2008. Il rischio non è tanto che i “suoi” ventenni passino ai repubblicani, ma che restino a casa. Le elezioni legislative hanno tradizionalmente una partecipazione più bassa delle presidenziali. Stavolta l’assenteismo dalle urne rischia di colpire in modo prevalente la sinistra.
Per le nuove generazioni l’incontro Stewart-Obama è un happening eccitante: il conduttore che scortica vivi i politici, finalmente a tu per tu col presidente che ha fatto sognare chi si affacciava per la prima volta all’età del voto. “È la nascita di Stewart come leader politico?”, si chiede il Washington Post. Il sospetto è legittimo. Per domani il conduttore ha convocato a Washington la manifestazione dallo slogan “Restauriamo la Salute Mentale dell’America” (con la contro-manifestazione del suo alter ego e finto rivale Stephen Colbert che invece vuole “Promuovere la Paura”). È solo satira politica portata al livello più sublime? È uno sberleffo geniale contro questa campagna elettorale dominata da faziosità, estremismi, demagogia urlata e viscerale come quella del Tea Party? Forse sì, ma perfino lo smaliziato blog Politico. com non esclude che Stewart possa diventare “il Glenn Beck della sinistra”: un’allusione all’anchorman di Fox che arringò le folle del Tea Party a Washington ad agosto. È significativo che sia Stewart, con la sua popolarità tra i giovani, a cercare di “abbassare i toni, riportare il confronto su un terreno civile, con argomenti ragionevoli”. Mentre nella destra movimentista domina un ceto medio dai capelli grigi, mai sazio di slogan incendiari e bellicosi. I giovani che finiscono l’università sanno che li aspetta un mercato del lavoro con punte del 15% di disoccupati per la loro generazione: forse questo li rende più realisti. Ma non è detto che li spinga a votare martedì.
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