The Real Target is Obama

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Se un complotto c’è, è nei confronti di Obama. Affascinati dal capire cosa pensano di noi i proconsoli americani nel mondo, eccitati dal poter sollevare il velo delle cortine delle opportunità pubbliche, un dato sembra acquisito.

Il rilascio di quasi due milioni di dispacci del Dipartimento di Stato da tutte le sue sedi nel mondo, è intanto e prima di tutto un gravissimo colpo per la amministrazione americana.

Ancor prima che nei contenuti, l’operazione di Wikileaks mette alla berlina l’intero sistema di sicurezza degli Stati Uniti, lo attraversa, lo squaderna e lo mette in piazza dimostrandone tutta la fragilità. In questo senso, si potrebbe dire che Assange ha un suo precursore nel giovane tedesco che poco tempo prima della caduta del Muro di Berlino raggiunse Mosca con un piccolo aereo è atterrò sulla Piazza Rossa, svelando con un solo colpo d’ala la fragilità di un sistema che si vantava dei suoi scudi stellari e delle sue testate nucleari. Se non fosse che l’azione odierna del giovane Assange ha scopi e sbocchi che la pongono ben al di là del «disvelamento» della natura del potere.

L’operazione-verità di Wikileaks, cui va dato il benvenuto come a tutte le operazioni di trasparenza, ha tuttavia anche un sottotesto molto politico, ha un impatto laterale, senza capire il quale rischiamo di essere messi anche noi nel sacco. C’è, insomma, una seconda lettura del rilascio di questi documenti, una sorta di eterogenesi dei fini, che suscita varie domande.

Intanto, le dimensioni di questo ultimo rilascio sono molto diverse dal primo, quello sulla guerra in Iraq. In quel caso, Wikileaks gestì circa quattrocentomila testi, si disse. Un numero eccezionale, ma non impossibile da raccogliere se si considera il gran numero di soldati coinvolti nel conflitto, la facilità con cui tutti loro usano in questa guerra il computer, e l’intensità dei sentimenti contro la guerra che circolano al fronte. Non suscitò dunque meraviglia che nel giro di qualche anno tale mole di informazioni venisse raccolta e passata ad Assange. Questa volta invece si tratta di quasi due milioni di dispacci, provenienti da tutte le ambasciate americane nel mondo: come ha fatto Wikileaks a mettere insieme una raccolta di tali dimensioni? Con quanti uomini e donne, in quali tempi, da quali basi operative? Certo, sappiamo bene che la tecnologia è flessibile, che basta un computer da una panchina per lavorare; sappiamo anche che proprio i grandi Stati peccano di eccesso di sicurezza rispetto ai propri sistemi operativi e ai propri codici. Ma, anche così, il dubbio rimane: bastano davvero solo un pugno di volontari e tante gole profonde per catturare ben due milioni di messaggi da tutte le ambasciate del mondo? E come può continuare a gestire tale complessa operazione un uomo come Assange che è da parecchio tempo in fuga, proprio per non far bloccare il suo lavoro? E – a proposito – come mai questo uomo che sfida da solo l’opacità del potere, non si trova? C’è qualcosa di davvero formidabile nella capacità di questo giovane di non farsi trovare dai servizi di intelligence più importanti del mondo.

C’è insomma un lato incomprensibile in questa storia, o, se volete, un vero e proprio lato oscuro. Chi sta aiutando Assange? C’è solo la sua fede e quella di pochi volontari nella libertà di stampa a sostenerlo? O, sempre in nome della libertà di stampa non abbiamo noi stessi il diritto di chiedere a questo punto allo stesso Assange trasparenza sulle sue operazioni?

Certo non si può essere così ingenui da non vedere che l’imbarazzo creato all’amministrazione di Obama, rende molto popolare il creatore di Wikileaks presso molti nemici di Obama. E se oltre che benvenuto Assange fosse stato anche aiutato da questi nemici?

Qui si apre una prateria di ipotesi, e tutte inquietanti. Sappiamo, proprio dai dispacci che leggiamo su Wikileaks, che il mondo in questo momento è un luogo molto incerto. Sappiamo che il potere degli Usa è in forte declino, e che è al centro di molti attacchi. Sappiamo infine anche che lo stesso Obama è combattuto da potenti forze nel suo stesso Paese. E’ davvero ridicolo dunque ipotizzare che Wikileaks possa essere diventato strumento involontario o volontario di queste tensioni? Staremo a vedere. Ma certo Assange stesso ci perdonerà questi dubbi, dal momento che essi sono solo l’applicazione a lui della stessa richiesta di trasparenza che la stampa libera rivolge a tutti.

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