The U.S. and Climate Change: A Difficult Political Match

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Gli Usa e il climate change. Una difficile partita politica

INCHIESTA. I tagli voluti dai Repubblicani al Dipartimento di Stato e alle agenzie Onu per il clima metterebbero a rischio la lotta al global warming. Ecco i protagonisti del braccio di ferro.

Gli Usa rivestono da sempre una posizione controversa all’interno dei negoziati sul clima, promossi all’interno dell’Unfccc, la convenzione quadro Onu sul cambiamento climatico. Bill Clinton non riuscì a firmare nessuna legge per diminuire il numero di emissioni climalteranti made in Usa, George W. Bush, per otto anni si oppose strenuamente ad ogni regolamentazione delle emissioni, evitando la ratifica del protocollo di Kyoto. Obama, da quando è alla Casa Bianca, ha spinto più volte per l’approvazione al Congresso di un Climate bill, annacquato in un American climate energy and security act, con molte concessioni su nucleare, gas naturale ed infine ridotto ad Energy bill, aperto anche alle trivellazioni offshore in Alaska. Tre disegni legge sempre più deboli nel tentativo di porre un tetto alle emissioni, passati alla camera e bloccati al senato, ora il nuovo Congresso, saldamente controllato alla Camera dal partito repubblicano e in particolare dall’emotivo Speaker of the house John Boehner, si appresta a distruggere ulteriormente ogni possibile proposta che giunge alla camera che contiene anche per errore la parola “cambiamento climatico”.

«E’ la nuova fobia – spiega una fonte di Capitol Hill, che lavora attivamente su testi legislativi trattanti questioni ambientali -. Dici clima e tirano in ballo ogni ragione possibile per denigrare la scienza climatica, parlando di “falsità, truffa, manipolazione”». Candidati presidenziali come Rick Perry o Michele Bachmann hanno dichiarato apertamente guerra all’agenzia per la Protezione dell’Ambiente, l’Epa. «Porremo termine a questo regno di terrore», ha dichiarato la candidata del Minnesota, a riguardo delle regolamentazioni Epa su inquinamento dell’atmosfera e delle acque, «responsabili della distruzione di migliaia di posti di lavoro.» Il nuovo obbiettivo, secondo vari personaggi intervistati appartenenti a think tank e lobby ambientaliste di Washington, sono ora proprio i negoziati per il clima ed una serie di iniziative delle Nazioni Unite per rallentare il global warming.

In parole povere, il desiderio dei Repubblicani è quello di vedere il framework ONU fallire. Secondo un’analisi delle risorte da decurtare nel 2012 – “dectamen repubblicano” – emerge che potrebbero essere eliminati dal budget i fondi per il Panel on climate change (Ipcc), indebolendo la forza dell’istituzione scientifica e il supporto economico all’ Unfccc. Gli Usa da soli contribuiscono a ben il 14 per cento del totale del budget gestionale da 35 milioni di dollari della convenzione quadro ONU. La sorte dei taglio dei fondi all’Onu e all’Ipcc è legata ad un emendamento presentato dal congressman repubblicano della Florida, Connie Mack, dopo essere stato approvato in subcommissione. Stanziamenti pubblici «L’obbiettivo – come spiega a Terra il suo ufficio stampa – è quello di eliminare ogni fondo USA per attività ed iniziative a livello globale contro il cambiamento climatico. Inoltre, con le imprese americane indebolite dalle regolamentazioni ambientali esistenti, è tempo che altri Paesi facciano la loro parte per migliorare il clima, togliendo il fardello agli USA». La sorte dell’emendamento rimane però sconosciuta.

Ancora più gravi sono i tagli – per ora ancora ipotetici – al budget al Dipartimento di Stato Usa, a cui appartiene il team di negoziatori sul clima, capitanato da Todd Stern. Mentre a dicembre a Durban si dovrà discutere del futuro dei negoziati del clima, giunti oramai ad un punto critico (o si avanza o si muore), qua negl Stati Uniti c’è preoccupazione nei corridori di Foggy Botton per avere le risorse necessarie per proseguire il lavoro iniziato con il Copenaghen Accord. Il Dipartimento non ha rilasciato commenti a Terra, ma, come è emerso da alcune conferenze stampa, c’è preoccupazione per i tagli al budget per i progetti di cooperazione e sviluppo agli Esteri, che includono anche i negoziati sul clima, anche se non nell’immediato futuro. Tra le varie riduzioni alla spesa proposte, le più rilevanti potrebbero essere per il Climate investment Funds, e i finanziamenti al Global Environmental facility.

Il primo è il fondo di sviluppo per promuovere progetti low carbon in 45 paesi in via di sviluppo sovrainteso dalla Banca Mondiale e parte delle strategie di carbon finance. Questi finanziamenti permettono alle nazioni dotate di scarsi capitali di creare progetti a grande scala nel solare e nell’eolico, prevenire la deforestazione e sviluppare strategie di resilienza ed adattamento ai cambiamenti climatici. Il secondo, il Global environmental facility venne creato vent’anni fa durante la presidenza di George H.W. Bush per aiutare i paesi più poveri nella realizzazione di strategie per la conservazione ambientale. Il budget di Barack Obama del 2012, a causa delle pressioni da parte dei Repubblicani dovrebbe ridurre i finanziamenti da 143.7 milioni di dollari a 70 milioni di dollari. Per il momento non è dato sapere cosa succederà per il “super-fondo” Green Climate Fund, proposto al negoziato di Copenaghen e creato a Cancun nel 2010, che dovrebbe raccogliere fondi dai Paesi industrializzati per movimentare almeno 100 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2020.

Né tanto meno per la sua versione fast start, che fatica a decollare a causa della reticenza di molti Paesi occidentali ad allocare risorse nel mezzo di una potenziale doppia recessione. L’emendamento di Mack e i tagli al Dipartimento di Stato hanno suscitato una serie di reazioni rabbiose da parte di ambientalisti e congressman. «Un oltraggio, non possiamo metterci da parte», spiega Jake Schmidt, dell’associazione ambientalista Natural Resources Defense Council, «sono tempi difficili, ma tagliare questi fondi non servirà ad salvare le nostre sorti». Non tutta la galassia repubblicana è a favore di queste proposte. Stupito Jim DiPeso, di Republicans for environmental protection: «il Congresso non può pensare di bloccare certe iniziative fondamentali come Ipcc e Unfccc. In una situazione ad alta tensione come quella a Capitol hill diviene esplosivo quando i politici nascondono la propria ideologia dietro ogni tentativo di ridurre il budget presentandosi come falchi fiscali».

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