Victoria Denholm
Un discorso duro contro l’Iran per ricucire
CHARLOTTE – E tre. L’ultimo strappo di Barack Hussein Obama con lo stato di Israele arriva, dopo la lite per gli insediamenti e l’accusa di non essere pronto a difenderlo da Teheran, nel momento peggiore: a due mesi dalle elezioni. Anche perché il silenzio su Gerusalemme capitale butta l’ennesima ombra sulle relazioni pericolose proprio nel bel mezzo della cosiddetta distensione: quando ormai sembrava tutto pronto per la visita ufficiale di Ehud Barak, il ministro della difesa di Israele, che doveva anticipare l’arrivo di Bibi Netanyahu al consueto appuntamento per l’assemblea dell’Onu. L’anno scorso, appunto, furono faville, col Bibi-Show. E proprio per frenare gli israeliani pronti a colpire gli ayatollah che giocano con l’atomico, Barack stava già preparando un nuovo discorso che sarebbe servito a fare la voce ancora più grossa con Teheran, mentre in questi giorni sta per cominciare la dimostrazione di forza delle esercitazioni nel Golfo. Ma tant’è.
La politica internazionale, certo. Ma nel piccolo grande orto americano è la Casa Bianca a svettare.
Quello che conta è il voto decisivo degli ebrei americani. Sì, i militanti che al Convention Center hanno imbadito i banchi con le bandiere bianche e azzurrre del National Jewish Democratic Council naturalmente fanno buon viso a cattivo gioco. La stessa segretaria del partito, Debbie Wasserman Schultz, continua a ripetere che «il partito democratico è la casa naturale per gli elettori ebraici in questo paese». E poi c’è lo slogan coniato dal governatore del Delaware Jack Markell: «Sono qui perché ebreo, e supporto il presidente e Israele». Ieri, alla convention, ha parlato anche l’ex braccio destro di Barack, Emanuel, che ai suoi tempi partì militare proprio per Israele. Ma sono i numeri che contano. La Republican Jewish Coalition ha raccolto 6.5 milioni di dollari da scommettere sugli indecisi. La Jta, l’agenzia di informazione ebraica, calcola che un calo dal 75 al 65 per cento dei voti che Obama ricevtte dalla comunità nel 2008 gli costerebbero 85mila voti in Florida, 41.500 in Pennsylvania e 19.000 in Ohio. Quanto basta per giocarsi gli stati in bilico che decideranno l’elezione. Sì, a questo punto Gerusalemme rischia di diventare davvero una questione capitale per Barack Obama.
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