ANALISI
Donne, giovani, operai, immigrati ”L’altra America” rielegge Obama
Il presidente ha ritrovato il consenso delle categorie che l’avevano portato alla Casa Bianca nel 2008. Strati sociali che il repubblicano Romney ha trascurato, contando sull’appoggio della classe economicamente dominante
BOSTON – Sembra davvero la storia degli ultimi che diventano ancora una volta i primi, è la rivincita del 47 contro l’1 per cento, di quell’America che Mitt Romney aveva svillaneggiato: il 47 per cento appunto così povero da non potersi neppure permettere di pagare le tasse, non ti curar di loro ma guarda e passa, mentre quello che doveva contare era soltanto l’1 per cento di super ricchi che già posseggono tutto e a cui naturalmente bisognava tagliare ancora le tasse.
Sì, la vittoria di Barack Obama passa davvero per la parte più vera dell’America, proprio per quella parte che il suo sfidante non ha coltivato, forte invece del sostegno dei miliardi dei poteri forti. Le donne, per esempio. Eppure ai repubblicani le orecchie dovevano suonare da un pezzo. Come si fa ad andare al voto inimicandosi l’elettorato femminile, come si fa a dire no alla contraccezione usata negli Usa dal 90 per cento delle donne? E come si fa soprattutto a non prendere le distanze da personaggi come Richard Mourdock o Tedd Aiken, capaci di orrori come la giustificazione del figlio dello stupro dono di Dio? Le donne, lo dicevano tutti i sondaggi, sono state la forza di Obama, spingendo in alto le sue preferenze, spaccando anche famiglie tradizionalmente repubblicane. Ed è una donna, Meggie Hassan, che ha trascinato alla vittoria Barack in uno Stato che rischiava di perdere, il New Hampshire: la nuova governatrice è adesso l’unica leader di uno Stato Usa pro-choice, cioè a favore dell’aborto, le uniche altre donne al comando sono repubblicane e ovviamente contro l’interruzione di gravidanza.
No, non si governa nel terzo millennio senza governare i temi della sessualità: e qui anche la mobilitazione dei gay è stata determinante, Obama è il presidente che ha cancellato il bando agli omosessuali nell’esercito e che esplicitamente s’è pronunciato a favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso. E non è un caso che anche nel discorso di “reinvestitura” si sia ricordato di loro, di questa costituency importantissima che invece Romney si era inimicato, licenziando il suo portavoce proprio per manifesta omosessualità.
E come si fa negli anni della globalità e del web senza frontiere a vincere senza immigrati e giovani? Naturalmente ci voglio i fatti e non solo le parole. Il primo presidente nero non è riuscito, visto l’ostruzionismo del Congresso, a fare quella grande riforma dell’immigrazione che sognava. Però ai figli dei clandestini che già studiano e lavorano negli Usa ha tolto l’infamia dei rimpatri coatti, firmando lui stesso un decreto che ha bypassato i poteri – e soprattutto l’inerzia – di Camera e Senato. Una mossa fondamentale: proprio l’asse neri-latini era stata la leva su cui quello che sarebbe diventato il primo presidente afroamericano aveva costruito quattro anni fa il suo successo. E i risultati di oggi, dalla Florida al Colorado al Nevada, cioè gli Stati in cui i latini erano determinanti, la dice lunga sul successo dell’operazione.
Ecco, anche qui: la grande forza di Barack quattro anni fa erano stati i giovani. E tutti gli esperti nei mesi scorsi avvertivano: l’attenzione è calata, non c’è più l’entusiasmo del 2008. Il vice (relativamente giovane anche lui, 42enne) che Mitt Romney si era scelto aveva pure fatto dell’ironia: non possiamo permettere che i nostri ragazzi invecchino fissando nel chiuso della loro cameretta un poster di Obama. Come dire: Barack li ha incantati ma non ha saputo fare altro per loro. Invece i giovani hanno risposto straordinariamente in massa all’appello del loro presidente: per la verità anche grazie alla mobilitazione, straordinaria anche questa, di quello che sempre nel discorso di Chicago il presidente ha chiamato il più organizzato team elettorale della storia.
Donne, gay, immigrati, giovani. E scusate se in questo Paese che rinasce dalla crisi peggiore dai tempi della grande depressione ci sono ancora gli operai. Qui il trionfo negli Stati simbolo della struttura industriale statunitense, dal Michigan delle tre Big di Detroit, General Motors Ford e Chrysler, appunto all’ambitissimo Ohio, è la prova che la classe operaia ha davvero la memoria lunga. Romney era contro il salvataggio dell’auto voluto da Barack: e gli operai se lo sono ricordati.
Sì, sembra davvero la storia degli ultimi che diventano ancora una volta primi: ora tocca a Obama Secondo dimostrare che non sarà solo per una notte.
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