Le elezioni Usa sono state anche social. Per capire cos’è cambiato rispetto al 2008, lo spin doctor di Obama, Michael Slaby, è intervenuto, insieme a Beppe Severgnini e Marcello Foa, all’incontro in Statale Social Media and New Forms of Communications in Politics.
Quattro anni fa Barack Obama veniva eletto 43° presidente degli Stati Uniti: a entrare nella Storia, non era solo il fatto che Mr Obama fosse il primo presidente afroamericano della storia del Paese, ma anche la campagna elettorale che gli aveva permesso di raggiungere questo traguardo.
L’uso innovativo e audace dei social media (in particolare Facebook) e la creazione di un vero e proprio “popolo” di volontari che hanno usato tutti gli strumenti a disposizione, on e offline, hanno reso Barack Obama l’uomo più potente del mondo e lo hanno fatto entrare nella Storia. Lo scorso 7 novembre Obama è stato rieletto ma in che cosa è cambiata, se è cambiata, la sua strategia comunicativa? Per capirlo Voices from the blog, l’Osservatorio sui Social Media dell’Università degli Studi di Milano, e il Consolato Generale degli Stati Uniti d’America di Milano, hanno organizzato un incontro dedicato al ruolo dei social media nella campagna elettorale americana, e non solo. Titolo dell’incontro “Social Media and New Forms of Communications in Politics: #US2012 Presidential Election” e ospite d’onore è stato Michael Slaby, Chief Integration and Innovation Officer del team di Barack Obama, colui che effettivamente ha organizzato le campagne elettorali di Obama sui social media nel 2008 e nel 2012. La vera novità, ha spiegato Slaby, è stato proprio nell’uso più accorto di twitter: nel 2008 infatti questo social era appena nato e non ne erano ancora state esplorate tutte le capacità comunicative e persuasorie. Con l’uso più raffinato di twitter, la campagna di Obama ha potuto mobilitare oltre 700,000 volontari che hanno, tutti, con estrema coesione, cercato di comunicare più che un programma un “Valore”, a value. Quello che importa quando fai campagna elettorale è comunicare Who you are, la tua mission che quindi muoverà ad un’azione, action: un tweet e quindi un voto. Rispetto al 2008 nel 2012 i social media hanno reso ancora più intricate e complesse le reti di relazioni tra i diversi media e tra chi usa i media stessi e ciò che si comunica. E’ necessario, spiega Slaby, fornire alle persone degli strumenti, tools, e una piattaforma attraverso cui dare voce ad una mission, un valore. Questa la forza dei social media, in grado di assolvere alle funzioni principali di una campagna politica: vendere un bene (in questo caso un Valore) e servire il cliente. All’incontro sono intervenuti anche Beppe Severgnini, giornalista del Corriere della Sera e Marcello Foa, ex caporedattore de il Giornale.it, sito sul quale peraltro continua a tenere un seguitissimo blog di politica nazionale e internazionale, e ora è direttore generale del gruppo editoriale svizzero TImedia. Severgnini ha sottolineato l’incapacità dei politici italiani nell’uso dei social media: in effetti, alla domanda rivolta al pubblico in sala, quante persone lavorassero per partiti politici, solo due hanno alzato la mano. Un numero irrisorio se si pensa che l’aula era piuttosto piena e che dei due, uno era rappresentante di una piccolissima fazione della Democrazia Cristiana e l’altro è lo spin doctor del sindaco di Genova. Insomma, nessuno dei grandi partiti italiani aveva mandato uno solo dei suoi rappresentanti o spin doctor all’incontro. Un dato significativo, non c’è che dire. Ma forse non abbastanza per dipingere, come ha fatto Severgnini, gli italiani come un popolo incapace di tenere in mano il mouse e a comunicare, politicamente, sui social. Ma se i politici italiani non sanno usare i social, ci sarebbe molto da dire sul modo (sovente narcisista) in cui i giornalisti del Bel Paese si avvicinano a Twitter. Alcuni cinguettano molto ma sovente più per assecondare una moda, che per dialogare davvero con i lettori, in un momento in cui, peraltro, rischiano di essere bypassati dai social stessi. All’affermazione di Severgnini che Twitter è “la macchina della verità”, nel senso cioè che nessuno può mentire su Twitter, Foa, che è anche docente di Comunicazione all’Usi di Lugano e in Cattolica, storce il naso. Ne siamo proprio sicuri? E siamo poi proprio sicuri che quella che viene definita una rivoluzione social sia tale? Non è forse che i social fanno leva sui sentimenti di empatia, di stima, di attrazione piuttosto che sulla condivisione di un programma, parola che, esattamente come la parola blog fa notare Foa, non è mai stata citata da Slaby nel descrivere la campagna di Obama? Insomma, i social media più che garantire la trasparenza e l’autenticità di un Valore non sono piuttosto strumenti per “vendere” un prodotto, in questo caso un politico? Rispetto a questa provocazione, non sembra casuale l’affermazione di Slaby secondo cui “fare campagna elettorale vuol dire fare poesia, mentre governare vuol dire scrivere in prosa”. E, come sa bene chiunque abbia studiato un minimo di retorica, la poesia si fa facendo leva sui sentimenti, sull’irrazionalità delle passioni, la prosa sulla ragione e la logica.
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