Military Women's Challenge

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Usa, la sfida delle donne militari

Lo potete definire come volete, quest’anno che si chiude: l’anno della crisi, quello dei tecnici, l’anno di Obama. In America però le associazioni che riuniscono le donne militari non hanno dubbi: il 2012 è stato il loro anno.

I perché di tante certezze sono presto detti. Negli ultimi dieci anni le donne in uniforme negli Stati Uniti hanno vissuto una sfida dopo l’altra: le hanno combattute tutte, l’una dietro l’altra, al prezzo di sacrifici, vendette e spesso anche di sangue. Nell’anno che si sta chiudendo, mai come prima finora, i nodi sono arrivati al pettine: e su qualche battaglia si può scrivere la parola victory, vittoria, a significare che la partita è chiusa o almeno è a buon punto. Si legge in questa maniera la decisione di quattro ufficiali donne dei Marines di sfidare, ed è la prima volta, le loro gerarchie interne, facendo causa al Pentagono per ottenere il riconoscimento di quello che hanno fatto negli ultimi dieci anni, combattere in prima linea con addosso l’uniforme degli Stati Uniti d’America. “Succede da anni, sempre di più da quando siamo andati in Afghanistan e in Iraq, anche se sulla carta è scritto che le donne in prima linea non devono combattere. Avviene: quindi deve essere riconosciuto. Vogliamo i benefici economici e di carriera legati al fatto di essere state parti attive della prima linea”, mi ha detto una delle quattro, il tenente Coleen Farrell quando le ho parlato, qualche settimana fa.

Poi ci sono i numeri: quelli pubblicati nei giorni scorsi dimostrano che i casi di abusi nelle accademie militari americane sono cresciuti del 23% in un solo anno, 80 denunce contro le 65 del 2011 (erano 42 nel 2006, quando il fenomeno ha cominciato ad essere mappato). Pessima notizia, direte voi: ottima invece, ribattono le associazioni che rappresentano i militari donna, perché questo dimostra che le soldatesse hanno trovato la forza di parlare, di denunciare e che comincia a funzionare la politica di nessuna tolleranza contro le molestie, avviata negli anni scorsi dal Pentagono. Il problema resta, ma almeno si cerca di far qualcosa.

Nella stessa maniera si può leggere la notizia che l’esercito ha finalmente ascoltato le lamentele di migliaia delle sue donne e messo a punto un giubbotto anti-proiettile specificamente pensato per i soldati donna. Se pensate che la questione sia secondaria, è evidente che non avete mai provato uno dei giubbotti standard (leggi: da uomo). Troppo lunghi e troppo larghi per l’85% delle donne, lasciano il corpo scoperto e dunque vulnerabile. Per niente modellati sul seno, sono scomodi da indossare e dolorosi da portare a lungo: ben venga dunque, anche questa innovazione. E auguri di buon anno a tutte quelle che si battono perché il loro essere donna venga riconosciuto: comprese le soldatesse in divisa.

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