Zuckerberg: Good Intentions or Self-Publicity?

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E’ bello che Mark Zuckerberg, il giovane plurimiliardario fondatore di Facebook, dichiari Internet «un diritto umano» e di voler contribuire alla sua diffusione in modo che ogni cittadino del Pianeta abbia accesso alla Rete globale. Dopotutto, è quello che dicono da sempre gli attivisti per le libertà digitali. Il problema per l’alfabetizzazione del XXI secolo è il divario digitale tra chi ha l’accesso e chi no. Attenzione però a non lasciarsi confondere da un’abile campagna pubblicitaria.

Su Internet è subito divampato il dibattito. «Di quale Internet parla?» chiede fra i tanti l’avvocato Marco Ciurcina, fellow del Centro Nexa per Internet & Società. Quella che permette una comunicazione libera e neutrale a costo bassissimo in tutto il globo, o quella controllata dalle aziende private, che su richiesta dei governi danno i nostri dati personali, o addirittura li vendono, senza rispettare i diritti degli utenti? «Il diritto a Internet è il diritto a un sistema di comunicazione col quale Facebook non c’entra niente» commenta Ciurcina. Facebook non ha mai smentito con chiarezza di aver dato accesso alla Nsa ai dati dei suoi utenti e quindi di aver partecipato allo scandalo «Datagate». Una figuraccia che non si cancella con belle parole come «diritti umani» e «accesso globale».

Per avere la fiducia degli utenti, presenti e futuri, serve un impegno più trasparente, verificabile, per la protezione dei dati e la «neutralità della Rete», cioè il principio secondo cui i dati su Internet vanno trattati come tutti uguali. Attualmente circa una persona su sette al mondo usa Facebook, che guadagna soprattutto dai ricavi pubblicitari. Ovvio che il suo amministratore delegato veda un’opportunità nell’allargare l’accesso ai quasi 5 miliardi che ancora mancano all’appello fondando l’iniziativa Internet.org con altre sei multinazionali. Da notare l’assenza dal progetto di giganti concorrenti come Google e Twitter, che portano avanti altre iniziative proprie, più o meno filantropiche, per crescere nel mondo. Gli affari sono affari. L’opportunità in continenti come Asia, Africa e America Latina è ovviamente enorme.

Il 29enne Zuckerberg proponendosi come capo di una coalizione internazionale con l’iniziativa «Internet.org» sembra voler prendere il posto nel mondo tech che un tempo fu Bill Gates, l’ex capo della Microsoft. Per ora Internet.org ha annunciato solo che migliorerà e semplificherà le applicazioni, i componenti e le reti in modo che trasmettano più dati consumando meno batteria. Quasi ad anticiparlo, nell’intervista di copertina a «Business Week» Gates – che è tutto proteso verso la filantropia con la sua fondazione – ha dichiarato che non è con il Web che si combattono le malattie nei Paesi poveri. Anziché nuove iniziative, sarebbe più significativa un’adesione da parte di giganti come Facebook a quelle già esistenti. Ci sono già organizzazioni che promuovono l’uso di Internet mondiale da decenni, come Isoc.org: «Fanno molto, oltre ad essere l’organizzazione che in un certo senso ha il controllo di Internet, dato che ha il copyright degli standard» commenta Stefano Quintarelli, pioniere di Internet in Italia. Insomma: evviva Internet.org per la dichiarazione di buoni propositi di alcune multinazionali occidentali, ricordandoci da chi provengono.

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