Bill De Blasio, New York’s Italian from the Street

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Chiamarsi Warren Wilhelm non gli piaceva. Voleva essere Bill de Blasio, il nome della mamma italiana (Sant’Agata de ’ Goti) e dei nonni che si erano trasferiti dalla piccola città italiana a New York per prendersi cura di lui. Fin dalle scuole elementari, e prima di averne la possibilità legale, Wilhelm ha voluto essere De Blasio, e così figura in tutte le sue pagelle e diplomi scolastici. Il sindaco ne fa (quando ne parla per un minuto, una questione affettiva: sono stati la madre e i nonni a prendersi cura di lui, quando suo padre, di origine tedesca, se ne è andato.

Ma proprio adesso, sindaco di una città che, allo stesso tempo, rappresenta tutta l’America e rappresenta un riassunto del mondo, ti rendi conto di qualcosa che forse per il piccolo nuovo americano è stata una rivelazione istintiva del luogo in cui si era trovato a crescere, fra lasagne, hamburger, molta sfida e molto affetto: aveva capito che a New York devi essere fuori per essere dentro, per contare alla pari. Aveva capito che, se non sei minoranza, non sei nessuno. E che l’identificazione come minoranza ti rende più forte, più uguale e ti mette in grado non di difenderti, ma di trattare alla pari. Mi ha ricordato una storia dei miei anni newyorchesi (quando ero direttore dell’Istituto Italiano di cultura di New York).

È la storia di Arthur Avenue, nel Bronx più avventuroso. Quella strada era una tremenda linea di confine: di là una gang di ragazzi neri con borchie, bracciali e mazze, intenti a lanciare quasi ogni notte la sfida delle incursioni nel quartiere italiano. Di qua una gang di ragazzi italiani con borchie, bracciali e mazze, decisi a organizzare ogni volta raid di vendetta, senza che si potesse mai stabilire chi aveva cominciato e quando. Nessuno, tanto meno la polizia, avrebbe immaginato la soluzione: il teatro. Una pizzeria ha messo a disposizione lo scantinato, Robert De Niro ha risposto subito all’appello e ha mandato riflettori e attrezzature di scena (ed è venuto alla “prima”), Vanessa Redgrave, che parla un italiano quasi perfetto (e che era di casa all’Istituto di cultura) ha fatto la madrina dei primi spettacoli. Gli attori erano ragazzi delle due gang, bianchi e neri, spesso con i ruoli a rovescio, gli italiani perseguitati e i neri poliziotti invadenti, pericolosi e cattivi. Un’idea in più (di uno dei ragazzi italiani, che aveva avuto un nonno operaio emigrato per antifascismo) era stata di spostare gli eventi delle due gang in un’Italia ai tempi del fascismo, mettendo nella cantina-teatro un grande ritratto di Mussolini come ispiratore dell’odio tra bande.

Qui entrano in scena due personaggi che stanno segnando quest’epoca: Bill de Blasio e Katrina vanden Heuvel. De Blasio è esattamente il tipo di leader delle minoranze che stavano nascendo: rappresentante di esclusi deciso a essere incluso in nome di diritti di una rivoluzione già proclamata dalla Costituzione americana. Ovvero, il modello di Martin Luther King: inflessibilità e nonviolenza. De Blasio – nei quartieri pericolosi della città – ha fatto tutto ciò che si fa nelle strade e con le gang, sempre tenendosi fuori (e tenendo fuori i suoi compagni di strada), dalla violenza. Per esempio, presidiando le scuole difendendo i bambini dal “mobbing”. Ma anche impegnandosi a riuscire, nelle buone scuole pubbliche e nelle grandi università dove non paghi se hai merito (New York University e Columbia University, dove lui ha preso laurea e master). E poi ha lavorato, subito e sempre, nell’unica carriera che gli interessava: mettere la legge dalla parte di chi, se è lasciato allo sbando, ricorrerà alla violenza. E ha fatto “l’avvocato della città”, una sorta di carica elettiva minore in cui ci si batte per i diritti degli altri. Ha creduto (e dimostrato personalmente di credere, col suo matrimonio) nel mischiare le minoranze “perché sono l’America, e sono la strada”.

Intanto, nel versante buono della città, Katrina vanden Heuvel, ragazza ricca e figlia di William, ministro di Kennedy e ambasciatore di Carter, ha impegnato i suoi soldi a comprare, salvare rilanciare e dirigere la rivista The Nation, il solo settimanale nazionale di una sinistra americana sopravvissuta che, con Kathrine, è diventata più radicale, più di sinistra e con una diffusione di oltre 250 mila copie (in crescita) alla settimana. The Nation ha guidato la campagna di De Blasio, mobilitando per il nuovo sindaco egualitario la borghesia di Manhattan che aveva votato per Kennedy e Obama.

Il punto forte della editrice-direttrice del The Nation e del nuovo sindaco di New York, scelto dal 76 per cento della gente più agiata della terra (e dai ragazzi neri e bianchi del Bronx) è che “il programma è già tutto nella Costituzione”: non esiste democrazia senza uguaglianza e non esiste uguaglianza senza il riconoscimento pieno dei diritti umani e civili, che comprendono il bambino che nasce, la coppia (qualunque coppia) che si unisce, la donna e l’uomo che lavorano e, per questa ragione, diventano “valore aggiunto” del Paese, ricchezza da tutelare. Non che questo sia il credo americano. Ma è il manifesto del nuovo sindaco che comincia da oggi, nonostante la tempesta di neve (che lui spala con gli altri). E di quell’unico giornale di sinistra salvato e rilanciato dalla ragazza ricca che dice come De Blasio: “Ho imparato da Roosevelt”.

Forse non è un caso che proprio in questi giorni la città più ricca del mondo abbia inaugurato un parco dedicato al presidente del New Deal e alla sua tenace lotta contro conservatori potenti e ostinati, per strappare i suoi cittadini al terrore della miseria. Forse non è un caso che, di quel parco-memoria sia ideatore e presidente William vanden Heuvel, padre di Kathrine e grande elettore di De Blasio.

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