Seattle: If a Heroic Student Unknowingly Transforms into a Fundraiser

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Seattle: se lo studente eroe si trasforma in fundraiser a sua insaputa

Lo scorso 6 giugno Aaron Ybarra, un giovane statunitense di ventisei anni con problemi mentali alle spalle, entra con un fucile a pompa nell’edificio che ospita i dipartimenti di scienze e ingegneria dell’Università di Seattle. Colpisce i primi quattro ragazzi che si trova davanti. Uno di loro, una matricola di 19 anni, morirà in ospedale. Poi si ferma a ricaricare l’arma, per far partire una seconda scarica. Jon Meis, uno studente ventiduenne di Ingegneria elettronica, sfrutta l’attimo di esitazione del killer e lo attacca con uno spray al peperoncino. Altri studenti accorrono e bloccano Aaron.

La stampa statunitense inizia a indagare sulla vita di questo studente eroe. Si scopre che Jon è fidanzato con Kaylie. E che i due progettano di sposarsi il 21 giugno. Molte persone avvertono l’esigenza di fare qualcosa per premiare il coraggio del giovane che ha evitato una strage con uno spray al peperoncino. È così che il link della loro lista di nozze inizia a circolare sui social network, e in pochissime ore tutti gli oggetti presenti vengono acquistati da perfetti sconosciuti. Ma non basta, perché la voglia di donare denaro a Jon e Kaylie sembra essere davvero tanta. E allora

Jessamyn McIntyre, una giornalista del canale sportivo ESPN che non conosce i due ragazzi se non attraverso ciò che la stampa scrive di Jon, decide di lanciare una campagna di crowdfunding sul sito internet GoFundMe. L’intento è quello di raccogliere il necessario per regalare loro una bella luna di miele. L’obiettivo dichiarato è 5.000 dollari, ma in meno di tre giorni se ne raccolgono più di 50.000.

Questa storia tipicamente americana è molto interessante, perché il gesto di Jon è riuscito a mettere in moto in maniera rapida ed efficace un meccanismo volontario di redistribuzione economica, che è di solito fondamentale nell’affrontare crisi umanitarie, ma che in presenza di crisi umanitarie, soprattutto quelle alimentari, non è mai così rapido e così efficace.

Jon ha salvato parecchie vite, e le persone che sono rimaste così impressionate dal suo altruismo da volverlo premiare avrebbero potuto fare lo stesso, destinando una piccola somma di denaro a chi vive in condizioni di particolare disagio, o a chi addirittura rischia di morire per carenza di risorse economiche. I due milioni di siriani rifugiati in Turchia, Libano, Iraq e Giordania, per esempio. O i due milioni e mezzo di persone che nella Repubblica Centrafricana hanno disperatamente bisogno di assistenza umanitaria. O i sette milioni di persone a rischio di insicurezza alimentare in Sud Sudan. E i modi per farlo sarebbero stati tanti. Attraverso il sito internet dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, o delle tante organizzazioni non governative che, come Save the Childrden e Oxfam, provano a far fronte alle privazioni dei soggetti più vulnerabili.

La storia di Jon e del suo matrimonio è simile per molti aspetti al famoso caso di Jessica McClure, ricordato dal filosofo australiano Peter Singer nel suo libro del 2009, “The Life You Can Save – How to Play Your Part in Ending World Poverty”. Nell’Ottobre del 1987 Jessica, una bambina di 18 mesi che vive in Texas, cade in un pozzo profondo quasi sette metri. I soccorritori lavorano due giorni e mezzo per tirarla fuori. Il caso cattura fin dalle prime ore l’attenzione dei media, e la Cnn offre una diretta no-stop delle operazioni di salvataggio. Quando finalmente Jessica ritorna in superficie è diventata miliardaria. Perché mentre lei era nel pozzo i cittadini americani hanno iniziato a donare soldi. Non ci sono mai stati dati ufficiali sulla cifra esatta, ma è quasi certo che le offerte siano andate oltre il milione di dollari.

Peter Singer fa notare, utilizzando le stime dell’Unicef, che in quei due giorni e mezzo in cui Jessica era intrappolata sotto terra nel resto del mondo sono morti circa 67.500 bambini per mancanza di risorse economiche. Cioè per fame, o a causa di malattie facilmente curabili con somme risibili, come il morbillo, la diarrea o la malaria. Pochi dollari li avrebbero salvati. E invece Jessica non aveva bisogno di soldi, quanto semplicemente di qualcuno che riuscisse a tirarla fuori dal pozzo.

Una spiegazione di questo genere di fenomeni è stata offerta dallo psicologo americano Paul Slovic. La compassione che riesce a suscitare nell’essere umano una vittima identificabile con un volto e una storia precise è sempre superiore alla compassione che può suscitare un numero anche elevato di imprecisate vittime statistiche. E questo lo ha anche dimostrato in una serie di esperimenti di psicologia comportamentale realizzati insieme ai colleghi Deborah Small e George Loewenstein.

Il caso di Jon è estremamente peculiare, perché introduce nello schema classico “vittima identificabile vs. vittima statistica” una terza figura, l’eroe che interviene per impedire il moltiplicarsi di vittime identificabili. E nel confronto tra i tre quello che sembra prevalere è proprio lui, l’eroe, l’unico che non ha bisogno di aiuto. E infatti le centinaia di persone che hanno donato soldi al giovane studente lo hanno fatto attraverso un sito internet di crowdfunding in cui si sono ritrovate davanti delle vere e proprie vittime, americane per lo più, che hanno ignorato. La cosa ha raggiunto sproporzioni tali da mettere quasi a disagio lo stesso Jon. Al punto che è stato direttamente lui, Jon, a ringraziare tutti per la generosità e a chiedere, attraverso un comunicato stampa pubblicato sul sito dell’Università di Seattle in data 9 Giugno, che ogni futura donazione sia destinata alle vittime della sparatoria.

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