Parenthood: L’irresistibile umana tendenza a normalizzare le rivoluzioni
Molte delle teorie oggi riconosciute e accettate in quasi tutte le discipline si basano su un concetto fondamentale: i cambiamenti avvengono attraverso una serie di strappi, o stravolgimenti, di una situazione di stasi o equilibrio. La disarmonia così ottenuta è solo la metà del cambiamento, perché questa non permane mai a lungo e il sistema trova sempre modo di riequilibrarsi e, durante questo processo, sopprimere gli elementi, come dire, rivoluzionari, trasformandoli in parti integranti del nuovo sistema.
Un elemento rivoluzionario, o instabile che dir si voglia, non può, naturalmente, essere parte di un sistema senza perdere la propria natura profonda di elemento rivoluzionario, ma quando un sistema riesce a strutturare, per esempio, gli elementi di per sé instabili dell’idrogeno e dell’ossigeno, ottiene una forma straordinariamente stabile.
Che ci sia una somiglianza tra i processi biologici e quelli intellettuali e sociali non è un concetto nuovo, ma è sempre straordinario da notare quando lo si incontra. Quello che la Restaurazione ha fatto dei principi della Rivoluzione Francese è cosa nota così come quello che la cultura contemporanea ha fatto – e sta ancora facendo – della rivoluzione del 1968 è un processo che hanno notato in tanti. Ciò che mi sembra notevole in questi anni, tuttavia, è la predominanza dell’elemento didattico sugli altri, su una forma, cioè, di restaurazione fondata sulla spiegazione del processo stesso. Non si tratta oggi di ingannare le masse, nascondere le verità e distorcere i messaggi, non si ottiene più in questo modo il ritorno alla stasi del sistema. Oggi ci viene spiegato, possibilmente in forma di racconto o favola, il vero senso degli elementi rivoluzionari che hanno costruito il mondo moderno, permettendo così di stabilizzarli come parti permanenti del sistema.
C’è una serie televisiva, Parenthood, che è importante sotto molti punti di vista, uno dei quali è proprio la sua straordinaria impostazione didattica. Questa fiction, che fa largo uso delle canzoni “classiche” di Bob Dylan, racconta di una famiglia che vive a Berkeley, tre generazioni di quelli che sono considerati convenzionalmente gli elementi rivoluzionari della popolazione americana. La scorsa serie si è conclusa con un episodio i cui ultimi cinque minuti sono una serie di immagini serene, gratificanti e pacificanti della famiglia in questione, il tutto accompagnato da una versione particolarmente mansueta dell’inno rivoluzionario “The Times They Are ’A Changin’”, di Bob Dylan. L’effetto che questo episodio è riuscito a ottenere, è di aver completamente stravolto, reinterpretato e inserito in un nuovo contesto le parole di Dylan. Il testo, che parla di distruzione, diluvio, maledizione biblica, è diventata una canzone che racconta il cambiare dei tempi come elemento naturale del processo vitale.
Ancora una volta, il tono con cui si dice una cosa determina il senso della cosa detta più del suo contenuto. Per questo il sistema moderno lascia che si parli, chiedendoci solo di farlo attraverso i suoi canali, a modo, cioè, suo.
-nefeli misuraca
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