Lungo, dettagliato, quasi morboso articolo di David A. Fahrenthold per il Washington Post, sul “mistero” della mancata laurea di Scott Walker alla Marquette University. Il succo, alla fine, è che – arrivato all’ultimo anno di college – l’attuale governatore del Wisconsin ha preferito accettare un buon lavoro (all’American Red Cross) e poi sposarsi piuttosto che aspettare l’arrivo del “pezzo di carta”. A posteriori, non si può certo dire che la sua sia stata una scelta sbagliata. A quanti giovani reaganiani laureati è capitato di battere i democratici per tre volte in quattro anni nello stato blu che ha inventato il sindacalismo a stelle e strisce?
Eppure, statene pur certi, l’argomento diventerà uno dei cavalli di battaglia preferiti dai mainstream media nel caso in cui Walker scegliesse – come ormai sembra probabile – di scendere in campo. Secondo Russ Smith, su SpliceToday, si tratta di un sintomo del panico che serpeggia tra i giornalisti, terrorizzati dall’ipotesi che un “terzo incomodo” posso rovinare il reality show politico che stanno già organizzando in caso di sfida tra le dinastie Clinton e Bush. E non c’è dubbio che l’estemporanea uscita di Howard Dean su Msnbc, di fronte a uno sbigottito Joe Scarborough, punti decisamente nella stessa direzione.
Qualunque sia il motivo di tanto accanimento (naturalmente non si può neanche escludere il semplice bias anti-GOP che caratterizza la grande maggioranza dei media tradizionali), l’aspetto paradossale di tutta la vicenda è che – come fa notare Joe Cunningham su Red State – stiamo uscendo dal doppio mandato di un presidente che, a differenza di Walker, l’università l’ha finita. Ma che al college si è distinto soprattutto per aver sniffato più cocaina di un mulo colombiano affetto da priapismo. Eppure, nel caso di “Barry” Obama – da candidato o da presidente – i media si sono ben guardati dall’andare a scavare nel suo passato universitario, limitandosi a passare le veline degli Axelrod di turno. Con Walker, invece, che candidato ancora non è, già sappiamo il suo voto in “introductory french” (D-). Grazie al cielo, per i militanti repubblicani andare male in francese (e probabilmente anche non puzzare di Ivy League) è un tratto positivo del carattere di un candidato. Ma questo, i mainstream media, non lo capiranno mai.
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