Polemiche negli Usa dopo la morte di Kayla Mueller. Da luglio nessun tentativo di salvarla
L’ultimo ostaggio americano nelle mani dell’Isis si chiama Austin Tice. E’un giornalista free lance scomparso in Siria nel 2012. Dopo la morte di Kayla Mueller, è stata la stessa Casa Bianca a rivelare che il reporter sarebbe prigioniero dell’esercito del Califfato.
Nessun piano B per Kayla
La famiglia di Austin ha avuto rassicurazioni dal governo americano che sarà fatto di tutto per liberarlo. Già, ma cosa verrà fatto? Barack Obama è stato molto chiaro: gli Usa non pagano riscatti per gli ostaggi nelle mani degli islamisti. Non fanno scambio di prigionieri. Cercano di liberarli con dei blitz militari, ma finora, sono tutti falliti.
Così, al di là della retorica espressa dallo stesso presidente americano, diventa chiaro che il governo statunitense non intende discostarsi dalla linea di fermezza seguita finora; una linea che non si piega ai diktat dello Stato Islamico e che ha come prezzo la vita degli ostaggi, se mai gli islamisti abbiano mai avuto intenzione di rilasciarli veramente.
Dopo la morte della Mueller stanno emergendo alcuni particolari che fanno comprendere come il destino di un americano nelle mani dell’Isis sia (purtroppo) segnato. Nello scorso luglio, le forze speciali Usa tentarono di salvare la giovane operatrice umanitaria. La donna non era lì dove era stata segnalata.
No allo scambio di prigionieri
Da luglio ad adesso, al momento della sua morte (sotto le bombe di un attacco aereo giordano su Raqqa, secondo la versione dell’Isis; uccisa dai miliziani islamici per poi dare la colpa alla coalizione internazionale, secondo quello che dicono fonti americane) niente è stato fatto dal governo statunitense per riportare a casa Kayla.
Il Pentagono ha smentito che ci fosse un piano per salvarla. Dopo il blitz, la Mueller è semplicemente scomparsa dai radar. Nessuno a Washington sapeva dove si trovava.
Le trattative per uno scambio di prigionieri (l’Isis aveva chiesto la liberazione di Aafia Siddiqui, la neuroscienziata pachistana condannata a 86 anni di prigione negli Usa per terrorismo) non erano mai stata portate avanti con convinzione da parte degli americani e dopo la mancata liberazione erano state definitivamente abbandonate.
La famiglia di Kayla aveva scritto a Obama chiedendogli di procedere con lo scambio di prigiornieri, ma la Casa Bianca aveva risposto che non era possibile effettuarlo.
I famigliari lasciati soli
I Mueller si erano sentiti lasciati da soli, abbandonati. E’la stessa sensazione che hanno vissuto anche le altre famiglie degli ostaggi. Ultima, in ordine di apparizione, quella di Austin Tice. In una dichiarazione alla stampa, i congiunti del reporter hanno messo il dito nella piaga. Le agenzie del governo Usa che si occupano di questi casi non si parlano tra di loro e non lo fanno con i famigliari.
Fbi, Dipartimento di Stato, Cia, Pentagono e Casa Bianca non comunicano tra di loro. Un lavoro a compartimenti stagni che procura solo problemi (e fallimenti) e nessun successo.
La cosa che subito salta all’occhio è che le indagini sui rapimenti dell’Isis sono state coordinate dall’Fbi. La Polizia Federale sembra essere l’ultimo soggetto in grado di tirare fuori qualcuno da una prigione in Siria, Iraq o Yemen, ma allo stato attuale è proprio il Bureau a tenere il pallino in mano.
Il coordinamento dell’Fbi
Il deputato repubblicano Duncan Hunter ha chiesto che quel coordinamento venga tolto all’Fbi e passi sotto il controllo di un’altra agenzia dell’intelligence. Lo ha fatto con un’inevitabile ironia: “Beh..se l’Fbi vuole mollare alcune delle sue inchieste qui e trasferire almeno 2.000 agenti in Medioriente, magari in 20 anni riuscirà a risolvere il rebus degli ostaggi”.
Dichiarazioni che possono far parte della lotta politica a Washington, ma che fanno comprendere quanto le burocratiche soluzioni adottate finora per affrontare la questione ostaggi siano state inefficaci.
Ma, al di là della burocrazia, c’è la linea delal fermezza decisa da Obama. Per gli ostaggi dell’Isis nessun riscatto e nessun scambio di prigionieri. Se falliscono i raid militari per salvarli, non esiste un piano B per riportarli a casa.
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