Treasure Islands: The Off-Shore Economy that Finances Globalization

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Il governo ha appena varato due decreti che fra l’altro modificano le norme per il rientro dei capitali eliminando alcuni ostacoli che finora ne avevano impedito l’applicazione (per inciso: non potrebbero farle meglio queste leggi? Sul falso in bilancio è appena intervenuta la Cassazione segnalando un ‘buco’ rilevante, v intervista di Giovanni Maria Flick al Corriere della sera).

Una buona notizia.

I capitali esportati illecitamente in Svizzera e altrove dove si è raggiunto un accordo torneranno e pagheranno le tasse dovute. Eppure quei milioni/miliardi di privati cittadini sono una minuscola goccia nell’oceano dell’economia sommersa globale. E non si tratta solo di tasse.

DIMENSIONI DEL FENOMENO. Più della metà del commercio mondiale passa attraverso i paradisi fiscali. Oltre la metà degli attivi bancari e un terzo dell’investimento diretto estero effettuato dalle imprese multinazionali vengono dirottati offshore. L’85% delle emissioni bancarie e obbligazionarie internazionali si svolgono in una zona protetta, fuori da ogni controllo. E tralasciamo la massa dei derivati che secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali hanno raggiunto la fantastica cifra di $700 trilioni – 700.000 miliardi (un milione di miliardi includendo i credit default swaps) la maggior parte dei quali vengono trattati fuori dalle Borse.

Finanza-fantasma, un volume economico mostruoso pari a un terzo del Pil mondiale. Secondo l’Fmi, è il fatturato-ombra dei soli piccoli centri insulari (dati 2012).

PROGETTO TRASPARENZA? Al punto che i paesi del G20 nel 2013 dopo molte resistenze hanno deciso di voltare pagina, introducendo uno ‘ scambio automatico di informazioni’ finanziarie che dovrebbe cominciare a entrare in funzione proprio alla fine del 2015, secondo uno standard a cui hanno aderito i paesi Ocse più alcuni altri (vedi qui il sito americano specializzato gfintegrity.org, e il Sole24Ore)

Staremo a vedere, ma alla luce di quel che segue lo scetticismo è d’obbligo.

Nel frattempo la lista nera dell’off shore sembra essersi un po’ accorciata attraverso accordi di collaborazione fiscale, per es con la Svizzera, S. Marino, Montecarlo, Lichtenstein e recentemente con Hong Kong e Cayman, segnalava per esempio Panorama.it e con più precisione il Sole24Ore. Ma si tratta di accordi bilaterali tra paesi, in questo caso l’Italia, comunque parziali. L’elenco dei paradisi total black è sempre lunghissimo, e insospettabile. Ben al di là di quel che raccontava liberoquotidiano.it arrivando a dire che gli italiani per poter evadere il fisco sono ormai indotti a prendere la residenza all’estero.

ISOLE DEL TESORO. Così le ha chiamate Nicholas Shaxson, autore inglese di un libro denuncia Treasure Islands: Tax Heavens and the men who stole the world, Vintage) che nel 2012 ha rivelato, dati alla mano, l’universo finanziario sommerso che è la premessa della globalizzazione. “Molte persone, e forse anche voi, avete la sensazione che qualcosa funzioni male nell’economia mondiale ma non sanno dire quale sia l’origine del problema. Quando capite la natura dei paradisi fiscali sarete vicini a trovare una risposta”, scrive oggi in un post sul Guardian . Pieno di nuovi dettagli ed esempi su come funziona la faccenda.

Impietose le cifre, riferiva Megachip ( ripreso qui in italiano da libreidee.org, il link all’originale non funziona più) recensendo il libro ( vedi anche qui un altro post di giugno 2015, con vari link utili).

A possedere società offshore è l’83% delle maggiori imprese statunitensi e, secondo Tax Justice Network, il 99% di quelle europee. Società fittizie, ‘gusci’ ( shell) attraverso le quali avvengono transazioni commerciali, mascherando i profitti reali. ‘In questo modi si fluidificano i flussi di capitali nel mondo, rimuovendo gli ostacoli’ , si difendono i fautori dell’off shore. “Il fatto è che gli ostacoli sono tasse, regole e leggi democratiche”, osserva Shaxson nel post, corredato da alcune delle foto sui paradisi fiscali – con interessanti didascalie – che dal 6 luglio al 20 settembre sono esposte al Festival della Fotografia di Arles e diventeranno un libro.

L’espressione paradisi fiscali sollecita immagini di isolette con spiagge e palme, paradisiache appunto, dove qualsiasi deposito, transazione, operazione è consentito, “luoghi soleggiati per gente oscura” , come li chiama Shaxson. Ma accanto a questi classici paradisi ve ne sono molti altri nel mondo dove, grazie a legislazioni opache, il denaro circola senza lasciare traccia. Accanto alle isolette caraibiche vi sono grandi isole famosissime come Manhattan o la stessa Gran Bretagna dove nel 2007 il Fondo Monetario Internazionale ha individuato una giurisdizione segreta.

GIURISDIZIONI SEGRETE. “I paradisi fiscali non sono tali perché hanno tasse basse – scrive gfintegrity.org, sito americano specializzato in materia, quel che li rende tali è piuttosto la loro opacità di ogni informazione finanziaria. Ecco perché vengono definiti con più precisione ‘ giurisdizioni segrete’ e perché si prestano a risolvere molti altri problemi, oltre all’evasione fiscale”.

“Le legislazioni sono magari complesse ma il principio di base è semplice : a banche, società e altri attori finanziari in quel paese è permesso accettare denaro proveniente da qualsiasi luogo senza dover riferire alle autorità il paese da cui proviene o da chi è controllato .

In molti casi rilasciare informazioni è considerato illegale”.

“La giurisdizione segreta – sintetizza Megachip – serve a diverse cose: evasione, elusione, irrintracciabilità dei soci di un’impresa, irrintracciabilità dell’origine dei flussi finanziari, riciclaggio, false fatturazioni e altre pratiche spinte. Come scambi di favori con narcotrafficanti, piazzisti d’armi, corruttori e tangentari di varia taglia che si comprano i loro rappresentanti all’interno del sistema politico, “inclusi monarchi, generali, conduttori sanguinari, conduttori di ‘stati canaglia”. E terroristi, aggiunge il sito Usa.

I DUE POLI: GRAN BRETAGNA E USA. Queste giurisdizioni segrete sono circa 60, o più. I due gruppi principali secondo Shaxson sono quello britannico e quello americano. E l’autore delle isole del tesoro confessa che all’inizio della sua indagine era lontanissimo dal sospettarlo.

L’aggregato più importante, che conta circa la metà di queste giurisdizioni segrete, è la Gran Bretagna. Capofila sono località come Jersey e Guernsey o la remota isola di Man, che si aggiungono a Cayman, Isole Vergini britanniche, Bermuda, Gibilterra. “Sembra incredibile ma la forma politica delle prime due, isolette nella Manica che non appartengono al Regno Unito ma sono dipendenze della Corona britannica, sono i baliaggi, una rara forma feudale che risale al Medioevo. Con quelle controllate indirettamente come Hong Kong, Singapore, Bahamas, , Dubai e Irlanda e conteggiando anche gli attivi del sistema bancario della City, i britannici controllano la metà degli attivi bancari del mondo” – scrive Magachipsulla scia di Shaxson.

(I soli attivi bancari alle Cayman rappresentano circa un 15 esimo dei $30 trilioni di attivi bancari del mondo, scrive Shaxson oggi).

Dopo di che c’è il polo USA, con le banche della Florida e gli affari e i traffici svolti in Delaware, Wyoming, Nevada. Ci sono le solite isole Vergini e le Marshall, che con Liberia e Panama offrono un porto sicuro a ogni traffico-pirata (un dettaglio infimo: un tempo si vedevano in giro yacht con bandiere panamensi o liberiane, oggi qui in Grecia sfoggiano bandiere inglesi o americane: ma gli armatori sono turchi o greci, ci viene spiegato).

Enron aveva 862 controllale off shore, Citigroup ne ha 427, News Corporation di Rupert Murdoch 152. Le multinazionali fatturano dalle località con vantaggio fiscale alle sedi piazzate nei paesi normali, evitando la tosatura fiscale e grazie a questi enormi vantaggi conducono “le scorribande conosciute anche col nome pomposo di ‘responso dei mercati’”. E falsano la concorrenza, danneggiando le imprese medie e piccole, costrette molto spesso a chiudere.

Il recente post di Shaxson cita le solite Amazon, Apple, Google con nuovi dati sui miliardi evasi. Non diversamente – aggiunge – agiscono AIG, Aviva, Barclays, Black & Decker, British American Tobacco, Burberry, Citigroup, Deutsche Bank, Facebook, FedEx, GlaxoSmithKline, Ikea, HSBC, JP Morgan, Microsoft, Pepsi, Skype, Starbucks, Vodafone or Walt Disney, tanto per citare qualche nome dalla lista di 350 imprese che usavano il paradiso fiscale del Lussemburgo rivelata da una talpa nel novembre 2014.

Il Luxleak ha subito fatto scandalo, ha tirato fuori migliaia di documenti. Il risultato? Tre indagati, la talpa principale, un secondo whistleblower e il giornalista francese che li ha aiutati a pubblicare i leaks, accusati di violazione di segreto commerciale.

Gli europei si limitano a Svizzera, Andorra, Monaco, Lichtenstein e Lussemburgo (da poco usciti dalla black list dopo aver concesso accordi sul segreto bancario ndr). Ma favori sui bilanci si possono trovare in Irlanda e nell’insospettabile Olanda. Paesi che applicano un prelievo a prezzi stracciati su persone fisiche ma anche società. “Si chiama dumping fiscale – spiegava il Sole24Ore. Un nemico in più per i vertici europei”, che infatti al G20 hanno premuto molto per un cambio di passo.

GLI USA HANNO COMINCIATO COL VIETNAM. Incredibile la storia di quando gli Usa si sono inventati i paradisi fiscali ‘domestici’ – raccontata dieci anni fa da un avvocato americano che aveva lavorato per una banca globale in America Latina. Aveva contattato Shaxson che – raccogliendo materiali per un libro sull’Africa, aveva appena scritto un pezzo sull’Angola, uscita dalla guerra per petrolio e diamanti ben più povera di prima che quelle risorse fossero state scoperte. ‘Mi venga a trovare a New York’, scriveva. Ora si occupava di esenzioni fiscali e altre questioni legali . Cosa c’entravano con Angola o Nigeria? ‘Molto, perché gli Stati Uniti sono un gigantesco paradiso fiscale’.

La storia risale alla Guerra in Vietnam. Gli Usa spendevano più soldi all’estero di quanto ne stessero guadagnando e i dollari fuoriuscivano dal paese. Per finanziare il deficit crescente, volevano riportare a casa i dollari all’estero. Lo fecero trasformandosi essi stessi in paradiso : creando benefici fiscali per gli stranieri. L’idea era risucchiare capitali volati via e denaro sporco in giro per il mondo; il denaro del petrolio dell’Africa Occidentale avrebbe funzionato a proposito.

DRENAGGIO DA AFRICA E DINTORNI. Dei Flussi Finanziari Illeciti – vale a dire movimenti di denaro o capitali illegali in quanto i fondi sono illegalmente guadagnati, trasferiti e/o utilizzati – una vera piaga per i paesi in via di sviluppo, Africa in testa, si è occupato gfintegrity.org: che stima gli IFF (Illicit Financial Flows) da questi paesi in sviluppo in $947 miliardi(nel 2012, e vista la progressione illustrata in tabella, c’è da credere che siano ulteriormente cresciuti). Denaro che va in banche di Usa e GB e per il 45% in paradisi fiscali.

NON ECCEZIONE MA CONDIZIONE. “ L’off shore – continua Megachip sulla scia del libro di Shaxson – è la concreta condizione perché esista sia la globalizzazione del traffico delle merci sia la costituzione di multinazionali sia, più di ogni altra cosa, la globalizzazione finanziaria, nonché il riciclaggio dell’economia del debito”.

“ La finanziarizzazione non esisterebbe senza l’off shore. Questa ragnatela di paradisi allettanti per la riproduzione asessuata dei capitali sottrae entrate fiscali agli Stati che sono poi costretti a chiedere soldi in prestito su quegli stessi mercati in cui operano questi capitali gonfi di illegalità”. Non sono sistemi ‘tollerati’ ma al contrario debitamente costruiti, protetti e incentivati da Usa e Regno Unito “ovvero l’hot spot della finanza e l’hot spot delle banche che si saldano in quel sistema bancario-finanziario che oggi – e non da oggi – domina l’economia“.

“Con la decisione di Nixon di stampare moneta dal nulla senza più alcun corrispettivo di ricchezza materiale, gli anglosassoni hanno creato un presupposto “poi sviluppato con la globalizzazione, il monetarismo, la deregolamentazione e la finanziarizzazione per ordinare l’economia, stante che l’economia già ordinava cultura società e politica dei vari paesi”.

Ordinando l’economia con la finanza è stato costruito un impero della circolazione finanziaria che attira capitali da ovunque per vivere di commissioni e occupazione correlata atta a gestire questa massa di soldi “in parte veri, in parte stampati da loro stessi su foglietti di carta verdognola o su certificati di nessun valore reale, per una nuova stagione di geopolitica della ricchezza e dei rendimenti crescenti”. Un sistema che produce ineguaglianze crescenti, non arricchisce il mondo ma solo una sua minima parte (vedi Underblog del 22/7: Langue nel mondo la classe media mentre il debito globale si impenna :3 volte il Pil planetario).

Conclude il post citando “I baroni anglosassoni del 1215 che imposero il no taxation without representation. Mentre Ora la representationse la comprano al mercato della democrazia rappresentativa coi soldi salvati dal ‘ no taxation’ . Questa è la libertà dei veri liberali“. Un’immagine efficace sia pure riduttiva, non solo di tasse si tratta.

Libreidee.orgaggiunge una citazione dello storico Fernand Braudel, secondo il quale la fase finanziaria è sempre l’autunno di una egemonia che sta perdendo il potere reale.

RIFLESSIONI. Chissà. Certo sollevano perplessità coloro che oggi si illudono che i problemi si risolvano e l’auspicata ‘sovranita’ si possa riacquistare semplicemente uscendo dall’euro, e magari dall’Europa: il sistema di potere in cui siamo immersi è enormemente grande, complesso e soprattutto consolidato. A reagire caso mai, promuovendo una globalizzazione diversa, dovrebbe in teoria essere l’Europa tutta, coi suoi 500 milioni di abitanti e la sua forza economica : ma di progetti del genere non si vede traccia, a destra come a sinistra.

I BRICS stanno tentando di creare un sistema alternativo, pur fra molte difficoltà e contraddizioni (si pensi alla Cina) ma sono un gruppo di grandi paesi emergenti, con un’economia in forte crescita e rappresentano il 46-50% della popolazione mondiale ( qui una sintesi didascalica).

E’ una delle principali ragioni dell’attuale scontro geopolitico.

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