Presidenziali Usa, se vince Hillary Clinton sarà restaurazione
Dopo il ‘socialista’ Obama, se l’ex segretaria di Stato guiderà il paese lo farà percorrendo i sentieri conosciuti del potere. E coniugando un briciolo di progressismo centrista con le esigenze di chi conta davvero
Chiunque vinca l’8 novembre, probabilmente Hillary Clinton, gli Stati Uniti conosceranno un’onda restauratrice dopo il primo presidente nero, mai completamente accettato dall’establishment e vissuto come un elemento alieno, una parentesi prima che i poteri forti rimettano la politica nell’alveo di un corso conosciuto.
Barack Obama aveva solo un mandato senatoriale alle spalle prima di approdare alla Casa Bianca, era estraneo o quasi alle logiche di pressione delle lobby pur se sulla sua pelle ne ha dovuto constatare l’influenza e il peso. Si è spinto fin dove gli è stato concesso da un Congresso ostile, non sempre nella sola componente repubblicana.
Ha varato l’Obamacare (la riforma sanitaria che ha esteso il diritto alle cure), è stato interventista in economia come mai lo Stato nel recente passato e ottenuto buoni risultati se il Pil è cresciuto e la disoccupazione è scesa. In politica estera è stato prudente, nel segno dello slogan del “soft power” per cui è sembrato debole al cospetto di Vladimir Putin in Siria come in Ucraina. Pur se ha dovuto, benché riluttante, inviare i bombardieri in Libia, rimandarli in Iraq dopo un frettoloso ritiro e mantenerli in Afghanistan.
Avrebbe voluto regole più stringenti contro la matta finanza dopo la crisi del 2008, si è dovuto accontentare della legge Dodd-Frank che mette qualche paletto al mercato e che i repubblicani non vedono l’ora di abolire. Non è riuscito a sconfiggere le lobby delle armi e a imporre un limite alla loro vendita e proliferazione. È rimasta una promessa la chiusura di Guantanamo. Per paradosso si sono addirittura acuite le tensioni sociali, a partire da quelle razziali.
Visto da sinistra, il “socialista” Obama, come lo definiscono con disprezzo i conservatori, ottiene una buona sufficienza. Col rammarico di non avere creato un erede e dunque la quasi certezza di una soluzione di continuità che farà della sua esperienza un unicum. Nonostante l’endorsement obbligato del presidente uscente, Hillary Clinton infatti – per età, curriculum, consuetudini e frequentazioni – rappresenta il riflusso verso i sentieri conosciuti del potere. È ben introdotta tra i banchieri di Wall Street e sensibile ai loro desideri, navigata negli apparati della upper class della East coast, come negli ambienti della diplomazia e del Pentagono. Una donna di mondo insomma, capace di coniugare un briciolo di progressismo centrista con le esigenze di chi conta davvero.
È assai probabile dunque che il soft power diventi un po’ più hard, più muscolare, nel nome di quella centralità americana nelle questioni che contano sul pianeta andata un po’ perduta. Un viaggio nel noto, dopo che Obama aveva fatto sognare l’ignoto. Non sempre riuscendoci.
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