President-Elect Trump, the Entrepreneur-Showman Who Has Destroyed the Political Arena and Convinced Americans

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Trump presidente, l’imprenditore-showman che ha distrutto i politici e convinto gli americani

Il ritratto – Miliardario di famiglia, ha sempre curato più l’immagine che la sostanza. Berlusconi tra i modelli, la politica come il luogo in cui appagare il suo ego smisurato. Le tante ombre della sua carriera non hanno minimamente pesato davanti al messaggio-chiave, quello che gli elettori atterriti dagli effetti della globalizzazione volevano sentirsi dire: “L’establishment vi ha tradito”

NEW YORK – Il Silvio Berlusconi americano. Molti lo hanno descritto proprio così, anche fra i più brillanti analisti dei media Usa, compresi alcuni opinionisti repubblicani. E’ proprio da qui che bisogna partire. Donald Trump, appena eletto presidente degli Stati Uniti, non ha inventato quasi nulla – solo un brillante show televisivo, The Apprentice – ma ha studiato modelli vincenti. Berlusconi è uno di quelli, altri più locali sono Ronald Reagan, Arnold Schwarzenegger, Jesse Venture (in decrescendo).

Grande imprenditore, geniale uomo d’affari. O affarista mediocre, truffatore seriale, bancarottiere, evasore fiscale. Doctor Jekyll e Mister Hide, insomma. La verità su Trump è sempre sfuggente. Come immobiliarista, non si è fatto da solo: ha ereditato una discreta fortuna dal padre, e secondo le stime più accurate della sua fortuna (molto poco trasparente) non avrebbe aggiunto molta ricchezza a quella paterna. Le “torri” (grattacieli) Trump che si vedono a New York, a Las Vegas, in Florida, spesso non sono più sue da tempo. I grossi immobiliaristi newyorchesi lo considerano un protagonista minore del loro business. Lui però ha curato il “brand”, lasciando il suo marchio anche in cose che non gli appartengono più. Ha investito nei casinò, ma anche lì ha avuto meno successo di quanto si creda, le bancarotte sono state numerose.

Ha varie linee di “merchandising”, abbigliamento o vini, sempre utili ad alimentare la sua notorietà ma non necessariamente generose di fatturato. Ha posseduto e gestito il marchio di diversi concorsi internazionali per reginette di bellezza, come Miss Universo: anche lì, più immagine che sostanza. Non è un Bill Gates né uno Steve Jobs, nel mondo del grande capitalismo americano è un microbo. Solo come showman ha dimostrato un talento innegabile. The Apprentice, il reality tv in cui lui selezionava aspiranti imprenditori, è stato uno dei più grandi successi della tv americana.

La politica lo ha sempre attirato. Probabilmente perché sentiva che poteva appagare il suo ego, il suo narcisismo smisurato. E’ stato democratico prima che repubblicano, ha frequentato i Clinton e tutti i notabili del partito democratico newyorchese. Ha capito da tempo, però, che la sua fortuna poteva essere legata alla destra. Ne ha corteggiato le frange più radicali e razziste. Il suo vero ingresso sulla scena politica nazionale avviene quando lui si fa capo del movimento “birther”: quattro anni fa, all’epoca della campagna elettorale del 2012, lui comincia ad accusare Obama di essere nato in Kenya, quindi ineleggibile, un usurpatore. La menzogna diventa leggenda metropolitana, vi si aggiunge l’insinuazione che Obama sia anche musulmano. Che sia falsa non conta, è un messaggio subliminale grazie al quale Trump diventa il beniamino di tutta l’America bianca e arrabbiata che non può ammettere un afroamericano come leader della nazione. Trump si accorge che manipolando i social media acquista rapidamente un seguito enorme, entusiasta. Comincia il suo uso intenso, quasi ossessivo, di Twitter. La campagna del 2012, anche se lui non si candida, diventa la prova generale di quel che verrà.

Nessuno lo prende sul serio quando lancia la sua candidatura nell’estate 2015. Gli altri repubblicani però esitano ad attaccarlo. Pensano che il fenomeno Trump si sgonfierà da solo. Lo corteggiano, sicuri che verrà il momento di ereditarne i fan. E lui li frega tutti, uno per uno cadono come birilli politici di professione come Jeb Bush, Ted Cruz, Marco Rubio. Li distrugge ridicolizzandoli. Azzecca tutte le parole d’ordine vincenti: il Muro, la denuncia dei trattati di libero scambio. All’America che soffre per la globalizzazione lui dice: l’establishment vi ha traditi, vi ha venduti alla Cina e al Messico. Ha interpretato, meglio di chiunque altro, l’aria del tempo.

Una campagna, rivoluzionaria, un’Opa ostile su un partito antico che ebbe come leader Abraham Lincoln, Dwight Eisenhower, Ronald Reagan. E’ riuscito perfino a farsi votare dai mormoni e dagli evangelici, lui che è al terzo matrimonio e si vantato di numerose conquiste e avventure extra-coniugali, fino alla ex modella di riviste per soli uomini che è la sua moglie attuale, Melania. Non lo ha danneggiato la rivelazione che Melania ha lavorato come fotomodella violando le leggi sull’immigrazione. Non gli ha nuociuto il fatto di avere impiegato immigrati clandestini nei suoi cantieri. Mentre tutti gli scandali di Hillary l’affondavano incollandole addosso l’immagine di una disonesta, lui è diventato presidente dopo essere stato un candidato-teflon, come a suo tempo Reagan.

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