People may still wonder why President-elect [now President] Donald Trump is so enthusiastic about cooperating with Vladimir Putin. After all, the United States has little financial interest in the Russian economy. Trade and investment with Russia are modest compared to that with China, for example.
However, Trump has been focusing on Russia for a long time. This attention is part of his viewpoint that America is in decline because other countries took advantage of the fact that Washington assumed the mantle of guardian of the international order after World War II. It is the first time that an American president has questioned the liberal order that the U.S. has built over the last 70 years. The Brookings Institution has recorded some of Trump’s ideas about foreign policy that were already clear a few decades ago. Among these, we find criticism of security alliances, such as NATO. Since 1987, he has gone as far as demanding huge payments in exchange for America’s protection. There is also Trump’s opposition to all free trade agreements since World War II, as well as the preference for authoritarian leaders, especially Russian ones. The latter manifested itself in 1990, when he visited Mikhail Gorbachev’s Russia and was disappointed.
Some of the picks for the cabinet especially indicate a leaning toward an alliance with Putin’s Russia, like secretary of state nominee Rex Tillerson, a former Exxon CEO who has been conducting business with Russia since the '90s and spoke out against Western sanctions against Moscow after the invasion of Crimea. It is no coincidence that Putin has stated that in the 21st century, “old alliances, such as EU and NATO, will matter less than new trade relations” between Moscow and Western companies.
One of the goals behind Tillerson’s appointment concerns the relaunch of the oil industry. Exxon itself has interests in Russia’s shale oil and in the Arctic exploration (which was already planned in 2011-2013) that can go forward after the sanctions are lifted (something that Trump himself has recently confirmed). By choosing Tillerson, Trump also aims to overthrow the alliance policy Obama established in Europe, since it involved working closely with Chancellor Angela Merkel to keep a united front and maintain sanctions against Moscow.
The appointment of Peter Navarro as head of the new National Trade Council is just as indicative of Trump’s intentions regarding foreign policy. Navarro is an economist known for authoring books about the “economic war” against China.
In order to win the Cold War, Nixon and Kissinger separated Moscow from Beijing by thawing relations with Mao’s China with the intent of weakening the Soviet Union’s international role. Trump is not going to limit himself to reversing that strategy; he is about to turn 40 years of U.S. foreign policy on its head. This change was made possible by the present state of relations between Russia and China. These are two state economies that are apparently worried about America’s power, but which are actually deeply mistrustful of each other. One of the reasons lies with Russia’s humiliating descent from its important history of expansion and influence in Asia to being a mere provider of commodities for Beijing.
In the meantime, after a two-year recession, Moscow’s economy seems to have entered a more positive phase of slight growth. Because of oil’s higher prices and the expectation that the Trump administration will eventually eliminate the sanctions, foreign investors are bringing their capital back to Russia. However, one of the main obstacles to investment by foreign companies is the uncertainty when it comes to property law.
Despite some differences, this is the common thread to several authoritarian countries allied with Moscow, e.g., Turkey and Egypt. Those who are considered hostile to the regime are stripped of their property rights and their assets are raided. Trump himself employs the following strategies to bring American workplaces back home: On the one hand, he threatens to impose tariffs against Beijing, and on the other hand, he uses coercion and flattery to persuade U.S. business to move back to America. He is shifting the Republican Party’s traditional economic policy from elements such as tax reduction and the removal of federal regulation to mercantilist principles concerning trade, manufacturing and exchange that involve, among other things, interventions with U.S. industries to influence their choices and the actions of their managers.
Donald e Vlad alleati nel nome degli affari
Perché il presidente eletto Donald Trump sia così entusiasta di collaborare con Vladimir Putin può apparire ancora un mistero, considerato che gli Stati Uniti hanno scarsi interessi nell’economia russa con scambi e investimenti di modesta entità rispetto a quelli che sussistono per esempio con la Cina.
Tuttavia, da parte di Trump, l’attenzione per la Russia è di lunga durata e va inclusa nella sua visione secondo cui l’America è in declino perché le altre nazioni hanno tratto vantaggio dalla posizione di garante dell’ordine internazionale assunta da Washington dopo il secondo conflitto mondiale. Per la prima volta l’ordine liberale costruito dagli Stati Uniti negli ultimi 70 anni viene, così, posto in discussione da un presidente americano. Stando a una ricostruzione messa a punto dalla Brookings Institution, sono tre le idee di Trump in politica estera emerse già alcuni decenni addietro: la critica delle alleanze di sicurezza, come la Nato, con la richiesta sin dal 1987 agli alleati di enormi pagamenti in cambio della protezione americana; l’opposizione a tutti i trattati di libero scambio siglati dopo la seconda guerra mondiale; l’inclinazione verso i leader autoritari in particolare russi manifestata già nel 1990, quando visitò la Russia di Michail Gorbacëv e ne tornò deluso.
E sono innanzitutto alcuni componenti della sua squadra di governo a risultare indicativi degli orientamenti a favore di un’alleanza con la Russia di Putin. Come il segretario di Stato Rex Tillerson, ex ceo di Exxon, che ha fatto affari con la Russia sin dagli anni 90 e si è espresso contro le sanzioni occidentali imposte a Mosca dopo l’invasione della Crimea. Non per niente Putin si è detto convinto che, nel XXI secolo, le «vecchie alleanze come Ue e Nato contano meno dei nuovi rapporti commerciali» fra Mosca e le compagnie occidentali.
Con l’incarico a Tillerson Trump ha mirato, in parte, al rilancio dell’industria del greggio, considerato che la stessa Exxon ha interessi nello shale russo e nell’esplorazione dell’Artico (stabiliti già nel 2011-13) che potranno essere implementati quando le sanzioni verranno tolte (come, peraltro, recentemente confermato dallo stesso presidente eletto). Ma anche a sovvertire la politica di alleanze tessuta da Obama in Europa, visto che egli ha lavorato a stretto contatto con la cancelliera Angela Merkel per conservare un fronte unito e le sanzioni contro Mosca.
Altrettanto indicativo degli orientamenti in politica estera di Trump è il capo del nuovo National Trade Council, Peter Navarro, un economista noto per i suoi libri sulla “guerra economica” con la Cina.
Trump sta, di fatto, rovesciando non solo la politica estera di Nixon e Kissinger che, per vincere la guerra fredda, separarono Mosca da Pechino scegliendo la distensione con la Cina di Mao con l’intento di indebolire il ruolo internazionale dell’Urss; ma si appresta a stravolgere 40 anni di politica estera statunitense. Questo mutamento di strategia internazionale è reso possibile dall’attuale stato dei rapporti fra Russia e Cina: due economie di Stato apparentemente preoccupate del potere americano ma, in realtà, profondamente diffidenti l’una dell’altra. E ciò, anche a motivo dell’umiliante parabola della Russia, divenuta una semplice fornitrice di commodities di Pechino dopo la sua importante storia di espansione e d’influenza in Asia.
Intanto a Mosca, dopo due anni di recessione, l’economia sembra essere entrata in una fase più positiva di leggera crescita. Grazie al rialzo dei prezzi del petrolio e all’attesa che l’amministrazione Trump finisca per eliminare le sanzioni, i capitali degli investitori stranieri stanno tornando in Russia. Tuttavia uno dei principali ostacoli agli investimenti delle compagnie estere è la mancanza di certezza del diritto in materia di proprietà.
Questo è un filo rosso che, pur mutando ciò che c’è da mutare, accomuna diversi paesi autoritari alleati di Mosca, come Turchia ed Egitto, dove i diritti di proprietà di quanti vengono considerati ostili al regime sono stravolti e i loro assets “razziati”. D’altronde Trump, per riportare a casa il lavoro americano, da una parte, minaccia di erigere barriere tariffarie contro Pechino e, dall’altra, usa coercizione e lusinga per convincere le imprese statunitensi a restare e a tornare in patria. Di fatto, egli sta spostando la tradizionale politica economica repubblicana da elementi come la riduzione delle tasse e la rimozione della regolamentazione federale a principi di orientamento mercantilistico verso commercio, manifattura e scambi che contemplino, fra l’altro, anche l’intervento sulle industrie statunitensi per condizionarne le scelte e l’operato dei manager.
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