Usa, ordinata la chiusura del consolato russo a San Francisco. Lavrov: “Reagiremo”
Annuncio del dipartimento di Stato in risposta alla decisione di Mosca di ridurre il numero degli impiegati delle sedi diplomatiche americane nel Paese. Saranno ridimensionate anche le strutture diplomatiche del Cremlino a Washington e New York
Con un preavviso brevissimo, il Dipartimento di Stato americano ordina la chiusura di tre sedi diplomatiche russe. La più importante è il consolato della Russia a San Francisco, le altre due sono delle sedi distaccate dell’ambasciata a Washington e del consolato generale di New York. L’avviso di sfratto è esecutivo da questo sabato 2 settembre. Si tratta dell’ultima risposta americana alla decisione di Vladimir Putin di cacciare di 755 ‘diplomatici’ americani o dipendenti russi delle rappresentanze Usa in Russia. “Quell’azione – ha dichiarato oggi la portavoce del Dipartimento di Stato, Heather Nauert – era ingiustificata e deleteria per le relazioni tra i nostri due paesi”. E’ nello spirito della “reciprocità” che il Dipartimento di Stato Usa ha annunciato le sue ritorsioni e quindi lo sfratto contro le sedi russe. A questo punto le rispettive rappresentanze consolari dei due paesi sono ridotte ai minimi termini, appena tre sedi ciascuno. Resta un leggero squilibrio a favore dei russi, a riprova che l’Amministrazione Trump non ha voluto infierire. Di fatto questo esecutivo americano “subisce” la guerra delle sanzioni più di quanto la gestisca.
Non si è fatta attendere la reazione russa. Il ministro degli esteri Sergei Lavrov ha chiamato il suo omologo Tillerson per comunicargli tutto il suo “rammarico” per una escalation di tensioni che – dice – “non è stata iniziata da noi”. “Le misure annunciate dagli americani saranno studiate con attenzione a Mosca”, ha dichiarato: “Poi reagiremo”
C’è una sottile ironia dietro la chiusura del consolato russo a San Francisco imposta dal Dipartimento di Stato: tutto ebbe inizio con una storia di hacker russi, si conclude (per adesso) con lo sfratto della sede diplomatica da cui Vladimir Putin “osserva” la Silicon Valley… Peraltro la California settentrionale ha un’antica storia di penetrazione russa fin dai tempi degli Zar. Oggi attira una fuga di cervelli dalle grandi università russe, e da quel paese venne uno dei fondatori di Google, Sergei Brin. Più tanti altri informatici, scienziati, ricercatori, tra i quali è ragionevole stimare che ci sia una percentuale di spie.
La chiusura del consolato è solo l’ultimo colpo di scena in una vicenda che ne riserverà altri. Si tratta di una gara di rappresaglie e ripicche inziata da quando il Congresso ha votato nuove sanzioni economiche contro la Russia per punirla delle interferenze nella campagna elettorale americana (le manovre anti-Hillary da cui parte lo scandalo del Russiagate). Quel voto del Congresso ha legato le mani a Donald Trump, che con Putin aveva iniziato le prove generali di un disgelo. Ora il presidente non è più libero di decidere a suo piacimento in materia di sanzioni, la legge del Congresso gli ha sfilato quello strumento dalle mani. Andando a colpire, fra l’altro, il progetto Nord Stream 2 che è di interesse strategico per la Russia (e anche per la Germania). Putin ha reagito decretando l’espulsione di 755 diplomatici americani o dipendenti delle loro sedi in Russia, ambasciate e consolati. Washington fa altrettanto, e la chiusura di San Francisco rientra in questo gioco delle vendette incrociate. Il clima da guerra fredda è tornato tra le due superpoptenze, e lo testimoniano anche i segnali di riarmo da una parte e dall’altra: le grandi manovre militari dell’Armata Rossa ai confini dell’Europa dell’Est; il massiccio investimento americano per ammodernare i propri arsenali nucleari.
Qui Trump è spettatore di un gioco che gli è sfuggito di mano. L’inchiesta sul Russiagate lo incalza, il procuratore speciale Robert Mueller continua a stringere il cerchio intorno all’entourage familiare e affaristico del presidente. Le sanzioni alla Russia sono il prezzo imposto a questo presidente da un establishment conservatore – militari, intelligence, diplomazia – che non è mai stato filorusso né ha l’intenzione di diventarlo.
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