Mark Zuckerberg torna a scuola: a Washington il primo processo alla Silicon Valley
Il capo del social network pare spaventato: nulla sarà come prima
Processo televisivo doveva essere e processo è stato: col fondatore e capo di una delle più ricche e influenti imprese del mondo tornato nei panni dello scolaretto che beve acqua in continuazione, scandisce risposte scheletriche in modo sempre più meccanico, fatica tenere a bada il suo panico interiore, mentre le vecchie volpi del Senato si comportano come arcigni professori di una commissione d’esame. L’audizione di Mark Zuckerberg davanti al Congresso rimarrà un passaggio storico: il giorno in cui non solo il leader di Facebook ma tutto il mondo dei giganti della Silicon Valley, sceso da un anno dal piedistallo dell’ammirazione planetaria, viene messo formalmente sotto accusa dall’istituzione politica.
Una riforma profonda
Che questo processo sia destinato a sfociare in una riforma profonda, sottomettendo a regolamentazione un’economia digitale che fin qui è riuscita ad evitare ogni tipo di vincolo, è tutt’altro che certo. Non sono pochi gli scettici convinti che alla fine tutto continuerà come prima: le ammissioni e le scuse di Zuckerberg, il Congresso che urla ma alla fine prende per buona la promessa di Facebook di cambiare rotta entrando in un’era di seria autoregolamentazione: in fondo i repubblicani, maggioranza in tutte e due le aule, sono il partito della deregulation e Donald Trump, scatenato contro Amazon, non è mai sembrato orientato a intervenire sulle reti sociali come Facebook e Twitter che gli hanno fatto non poco comodo durante la campagna elettorale.
Difficile che tutto torni come prima
In realtà è difficile che, dopo il Russiagate, il caso Cambridge Analytica e gli altri che continuano a emergere, tutto torni come prima. Se riforme radicali sembrano, al momento, da escludere, le cose sul piano regolamentare hanno già cominciato a muoversi. La legge contro la pornografia in rete, a lungo osteggiata dalle società di Big Tech che non volevano creare un precedente, è stata approvata da tempo ed è in vigore. L’Honest Advertising Act, una proposta di legge per regolamentare la pubblicità elettorale in rete presentata da due senatori democratici e sostenuta anche dal repubblicano John McCain, è stata bloccata fin qui dalla granitica opposizione della Silicon Valley. Ma venerdì scorso Mark Zuckerberg, da settimane sotto assedio per la gravità degli errori commessi dalla sua azienda, ha ammesso che è necessario cambiare rotta e ha riconosciuto che il progetto di legge in discussione davanti al Congresso può essere una buona soluzione per garantire la trasparenza della pubblicità elettorale. Proprio ieri anche Twitter, l’altro grande imputato nel campo delle interferenze politiche, ha cambiato linea dando il suo appoggio all’Honest Advertising Act.
Finita l’età dell’innocenza
Inoltre l’audizione di ieri ha messo in luce che fin qui i problemi di interferenza politica (dentro e fuori gli Usa) quelli di tutela della privacy e anche l’esame del rispetto dei pochi vincoli a suo tempo imposti dalla FTC, l’authority di regolamentazione, sono stati sottovalutati da tutti, non solo da Facebook. È, quindi, probabile che quello di ieri sia solo l’inizio di un lungo processo. Come già accaduto al Senato, Zuckerberg continuerà a trovarsi in una posizione difficile anche perché, oltre a quello della politica, deve tenere testa ad altri tre fronti per lui problematici: il rapporto con gli utenti che hanno improvvisamente perso fiducia nel gigante dei social network, quello con gli azionisti che vanno rassicurati davanti alla prospettiva di una minor redditività del business e di un aumento dei costi di gestione dei servizi. Ma anche il rapporto con i suoi stessi dipendenti: dopo le defezioni dello scorso anno, le accuse degli ex dipendenti, gli imbarazzanti documenti interni che continuano ad emergere, anche ricostruire il morale non sarà facile. Finita (da tempo) l’età dell’innocenza, Zuckerberg deve dimostrare di saper portare Facebook nella sua «età adulta».
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