Le «fake news», la Borsa e Facebook
Nonostante i dinieghi iniziali, è ormai evidente che Facebook (con le altre reti sociali), è stata megafono (involontario) di fake news
I dati trimestrali di Facebook sono meno brillanti del previsto, le prospettive di crescite illimitate di fatturati e profitti vanno riviste al ribasso e i mercati, spaventati, puniscono il gruppo di Mark Zuckerberg con un crollo delle quotazioni arrivato fino al 24%. Sotto tiro da più di un anno per scandali vari e per l’uso disinvolto dei dati personali dei propri utenti, l’azienda californiana è nel mirino del Congresso Usa e del Parlamento europeo che si chiedono se — e come — regolamentare le sue attività finalizzate a orientare l’opinione pubblica, per evitare che la libera circolazione delle idee si trasformi in manipolazione. Nonostante i dinieghi iniziali, è ormai evidente che Facebook (con le altre reti sociali), è stata megafono (involontario) di fake news, veicolo di depistaggi pilotati dall’estero e collettore di iniziative politiche banditesche che non solo hanno influenzato le votazioni in vari Paesi occidentali, ma hanno fomentato disordini gravi in varie parti del mondo, dalla Birmania a Sri Lanka.
Il brusco calo delle quotazioni di Google prova che il mercato può alimentare comportamenti virtuosi, punendo chi sbaglia, anche senza bisogno di interventi politici e regole che possono soffocare la creatività delle imprese? I mercati sono uno strumento prezioso e la frenata di Facebook è stata causata anche dal calo del traffico in Europa per i colli di bottiglia del nuovo regolamento Ue Gdpr sulla protezione dei dati personali. Ma i mercati non possono essere sempre la soluzione. Non lo sono di certo in questo caso: basti pensare che, dopo lo scandalo Cambridge Analytica, unanimemente giudicato una mazzata dal quale il gruppo si sarebbe ripreso con difficoltà, il titolo Facebook è cresciuto più del 40%. Mentre ora viene punito con una perdita secca per le conseguenze dei comportamenti più responsabili adottati dall’azienda di Zuckerberg (filtri «umani» per i contenuti immessi in rete, maggior cautela nel trattare i dati privati, eccetera). Misure comunque insufficienti, visto il perdurante rifiuto di Facebook di eliminare dalla rete le fake news, anche quando la loro falsità è certificata. Il legittimo desiderio di Zuckerberg di non finire in mezzo al fuoco incrociato di fazioni contrapposte rischiamo di pagarlo tutti con l’assuefazione alle falsità che diventano «fatti alternativi». Quando Kellyanne Conway usò questa espressione alla Casa Bianca pochi giorni dopo l’insediamento di Trump, fece ridere tutto il mondo. Un anno e mezzo dopo ci stiamo già abituando.
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