Stati Uniti contro Cina, guerra fredda rischiosa
A Washington cresce in varie sedi, dalla Casa Bianca al Pentagono, la volontà di frenare l’espansionismo economico e militare del colosso asiatico.
E adesso la guerra commerciale rischia davvero di diventare una nuova guerra fredda, stavolta tra Usa e Cina. Per la sua nuova, durissima sortita — Pechino accusata di attentare alla stabilità degli Stati Uniti interferendo nel processo elettorale contro il partito del presidente — Donald Trump ha scelto il sancta sanctorum degli equilibri internazionali, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Domenica scorsa il governo cinese ha comprato 4 pagine di pubblicità sul Des Moines Register, principale quotidiano dell’Iowa, per ammonire i suoi coltivatori: i dazi di Trump contro Pechino, definiti «una follia presidenziale», costeranno cari ai produttori di soia per via delle inevitabili rappresaglie commerciali. Pare sia stata questa la scintilla che ha indotto Trump ad appiccare l’ennesimo incendio: la Cina accusata, senza citare prove o fatti concreti, di voler falsare le prossime elezioni di mid term, mentre il presidente ha continuato a ignorare le massicce interferenze russe. Che poi sono le uniche fin qui documentate dai servizi segreti Usa e sono certamente più insidiose in quanto mascherate da manifestazioni spontanee di cittadini americani.
In tempi di guerre cibernetiche sotterranee tra potenze, anche la Cina fa di sicuro scelte spregiudicate e pericolose, ma il modo in cui ieri è stata tirata in ballo dal presidente americano — accuse tanto teatrali quanto generiche, parlando al mondo con toni da comizio elettorale — ha del caricaturale. A 24 ore dalle risate dell’Assemblea generale, si può essere tentati di archiviare questa nuova sortita come una delle tante impennate — calcolate o umorali — alle quali il presidente ci ha abituato: un anno fa, sempre all’Onu, Trump aveva chiamato Kim Jong — un rocket man minacciando di distruggere il suo Paese, mentre quest’anno ha elogiato il dittatore nordcoreano e ha detto di vedere un futuro di pace in questa parte del mondo.
Si potrebbe ma sarebbe un errore perché stavolta l’offensiva presidenziale mira ad un bersaglio — la Cina — che è nel mirino anche di tanti altri: dai conservatori che temono l’ascesa economica e militare del gigante asiatico, alla sinistra radicale e populista che ne ha abbastanza di globalizzazione e vede nel free trade una minaccia per i lavoratori. Insomma, stavolta siamo ben oltre l’umoralità tempestosa del presidente immobiliarista e la sua logica affaristica applicata alla diplomazia. L’offensiva commerciale di Trump contro la Cina gode di molti appoggi e ha sicuramente una sua ragion d’essere, visto che, nel silenzio dei suoi predecessori, il gigante asiatico ha continuato a beneficiare del trattamento agevolato riservato ai Paese in via di sviluppo, anche se ormai Pechino combatte testa a testa con gli Usa per la leadership economica e tecnologica planetaria. A Washington cresce in varie sedi, dalla Casa Bianca al Pentagono, la volontà di frenare l’espansionismo economico e militare del colosso asiatico. Sul piano strategico c’è poco da fare, stante che la conquista dei mari che dividono la Cina dalle Filippine e da altri Paesi asiatici è ormai un fatto compiuto che potrebbe essere ribaltato solo attaccando gli avamposti costruiti dai cinesi in questi arcipelaghi. Rimane da giocare la carta della pressione economica su un Paese che negli ultimi decenni è divenuto «la fabbrica del mondo». La Cina ha scelto la linea dura rifiutando di riaprire i negoziati commerciali dopo che gli Usa hanno introdotto dazi su 250 miliardi di dollari di merci importate dal Paese asiatico. Pechino ha da perdere molto di più visto che l’export Usa verso la Cina ha dimensioni assai più contenute di quello che varca il Pacifico in direzione opposta. I governanti di quel Paese dovranno riconoscere che è stato miope continuare a vendere in dumping, violare la proprietà intellettuale, imporre cessioni di tecnologia a chi vuole entrare nel mercato cinese. Ma la guerra fredda commerciale contro la fabbrica del mondo avrà conseguenze pesanti per tutti, Stati Uniti compresi.
Leave a Reply
You must be logged in to post a comment.