G20, Trump e Xi Jinping duellanti alla prova
Economia, politica, scienza: si sono moltiplicati i motivi di tensione. Ma il presidente americano potrebbe trovare un’intesa con il collega cinese sul commercio
Al G20 argentino Donald Trump, indebolito in America dagli sviluppi di un’inchiesta giudiziaria che gli fa rischiare l’impeachment, ostenta un bilancio internazionale per lui positivo: criticato, in passato, per la sua denuncia del Nafta, firma un nuovo accordo con Messico e Canada più favorevole agli Usa mentre stasera, nel vertice con Xi Jinping, potrebbe raggiungere un’intesa sugli scambi. Pechino vuole evitare una guerra commerciale nella quale ha da perdere più degli Stati Uniti e, per riuscirci, farà concessioni. Ma, soprattutto, il presidente nazionalista che un anno fa sembrava isolato nei consessi multilaterali, oggi è al centro dei giochi tra Paesi ormai in sintonia con lui e altri che, pur su traiettorie diverse, pensano di trarre vantaggio dalla demolizione del vecchio ordine internazionale portata avanti dal bulldozer Trump.
Il G20 argentino è un album di incontri bilaterali suggestivi: Trump litiga con la May? Ignora davvero Putin? Attacca, come al solito, la Merkel, magari ironizzando sull’avaria del jet del governo tedesco? E come finirà tra il principe della corona saudita ed Erdogan che ha scoperto e denunciato il delitto Khashoggi? Ma questo vertice è anche un funerale del multilateralismo celebrato quando c’è più bisogno che mai di cooperazione internazionale e di assunzione di responsabilità comuni. Per affrontare conflitti e problemi economici di oggi ma, soprattutto, le sfide del domani poste dai rapidi progressi dell’informatica e della genetica che, in assenza di regole e criteri etici condivisi, possono portarci verso un futuro di autoritarismo tecnologico.
In Cina già oggi nove milioni di cittadini, finiti nella lavagna dei cattivi per il loro basso rating sociale, non possono volare per andare da una città all’altra: solo viaggi via terra. Altri non possono salire sui treni ad alta velocità o andare negli alberghi e resort migliori. È solo l’inizio dell’applicazione del sistema di social credit universale al quale il governo cinese lavora da anni con l’obiettivo di creare un ranking di tutti i cittadini: quelli meritevoli da premiare con servizi sanitari più avanzati, l’accesso dei figli alle università migliori, perfino l’ampliamento delle possibilità di trovare il partner giusto online sui siti per incontri. E quelli col rating più basso che, invece, dovranno accontentarsi di servizi di serie B e di lavori meno qualificati, oltre ad avere un accesso ridotto al credito. I criteri in base ai quali bocciare o promuovere non sono ancora chiari: i sistemi di rating già attivi sono quelli sperimentati dai municipi di alcune grandi città mentre quello nazionale dovrebbe arrivare nel 2020. Sicuramente pesano le violazioni della legge, la sollecitudine nel pagare le multe, i risultati scolastici, i comportamenti sul posto di lavoro. Ma già si segnalano casi in cui vengono usati parametri etici più opinabili come la quantità di tempo dedicata ai videogiochi o ad attività giudicate frivole dalle autorità.
Non ci vuole molto per capire cosa rischiamo: simili sistemi possano diventare attraenti anche per altri Paesi emergenti che, affascinati dall’efficenza cinese ma spaventati dal suo autoritarismo, magari vedranno nel rating sociale la soluzione per governare i loro cittadini con una sorta di dittatura soft. E non è detto che le democrazie occidentali, con le loro reti sociali che funzionano anch’esse con meccanismi di rating, siano indenni da contaminazioni.
Ma di questo Trump e Xi non parleranno. E non parleranno nemmeno dei rischi di manipolazione genetica dell’essere umano a pochi giorni dall’annuncio che in Cina uno scienziato ha fatto nascere i primi esseri umani geneticamente modificati alterando il Dna dei loro embrioni. La comunità scientifica mondiale è insorta denunciando il superamento di una frontiera fin qui considerata invalicabile. Il governo cinese ha condannato l’esperimento e aperto un’inchiesta, ma è chiaro che, in assenza di regole draconiane e di controlli penetranti, sarà impossibile impedire l’apertura del vaso di Pandora delle alterazioni genetiche per scegliere sesso, statura, colore di occhi e capelli dei figli, per creare donne, uomini (e anche soldati) più forti e intelligenti.
I leader delle due superpotenze tecnologiche hanno altro di cui discutere. Trump ha la vocazione del mattone e sa che l’elettorato che lo adora preferisce sentirlo parlare di acciaio e carbone piuttosto che di genetica e futuro digitale. Una miopia apparsa in tutta evidenza nel recente scontro con la General Motors di Mary Barra che taglia la produzione di berline, non più assorbite dl mercato Usa, per investire di più nell’auto elettrica. Furioso per la chiusura di uno stabilimento in Ohio, Stato-chiave per il voto presidenziale, Trump ha minacciato rappresaglie, intimando alla Gm di chiudere, piuttosto, i suoi stabilimenti in Cina. E ora parla di nuovo di dazi del 25% per proteggere il mercato interno dell’auto. Se guardasse un po’ più lontano sarebbe arrabbiato con Gm per un altro motivo: investendo in Asia e concentrandosi sull’elettrico, il nuovo standard scelto dalla Cina per l’auto mentre il governo Trump punta ancora sui combustibili fossili, la Barra certifica che anche nel mondo dei motori la regia di Pechino può sostituire quella di Washington.
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