America’s Mistakes Will Save Europe

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Gli errori Usa salveranno l’Europa

FRANCESCO GUERRERA

Ad Everett, un’idillica cittadina a quaranta chilometri da Seattle, nessuno dei 104.000 cittadini sembra preoccuparsi della crisi in Grecia. Gli scontri violenti tra polizia e dimostranti nelle strade di Atene, la tensione sempre più alta tra governi europei e le paure dei mercati finanziari non riecheggiano nelle strade linde e pinte di questo paesino nel Nord-Ovest degli Usa, dove un tempo girarono Twin Peaks, il film di David Lynch.

Forse, però, gli abitanti di Everett dovrebbero prestare più attenzione alla Grecia e alle sorti dell’euro. Soprattutto quando vanno a pattinare sul ghiaccio o ad ascoltare un concerto. Grazie alle contorsioni della finanza globale, la pista di pattinaggio e l’auditorium di Everett sono stati finanziati dalla Dexia, una banca franco-belga che potrebbe soffrire perdite enormi su miliardi di obbligazioni greche.

Ricapitoliamo: una cittadina sperduta degli Stati Uniti dipende da una banca francese e belga che dipende dalla salute economica di un Paese a migliaia di chilometri di distanza che a sua volta dipende da un accordo politico ed economico tra 17 nazioni e la Banca Centrale Europea.

Benvenuti nella finanza internazionale – come il famoso Hotel California di cui cantavano gli Eagles, una volta entrati non si esce più.

Negli Usa, il caso-Everett non è unico.

Dai licei californiani alle scuole di New York e persino O’Hare, l’enorme aeroporto di Chicago, i tentacoli di banche europee che avevano ambizioni più grandi delle loro competenze legano ormai inesorabilmente le economie sulle due sponde dell’Atlantico. «Siamo tutti greci ora», mi ha detto un banchiere l’altro giorno, e non stava scherzando: la globalizzazione di flussi di capitali e di commercio fa sì che i tremori di Atene si risentano a Wall Street e in molte altre strade, stadi del ghiaccio e sale concerti degli Stati Uniti.

Negli Usa, la tragedia greca e i suoi effetti sull’economia reale del Paese sono ingombranti ricordi della crisi finanziaria di due anni fa – un flashback da incubo come nei film di David Lynch. Sostituite Lehman Brothers alla Grecia, la Federal Reserve alla Bce e Citigroup e Goldman Sachs alle varie Société Générale, Dexia e Deutsche Bank, e la situazione è quasi identica: un Paese sull’orlo del precipizio, un’economia mondiale che guarda con il fiato sospeso ed investitori che corrono verso le uscite nonostante le parole melliflue di politici e banchieri centrali.

La ferita di Lehman – l’enorme banca d’affari che andò in bancarotta nel 2008 paralizzando il sistema finanziario mondiale – non si è ancora cicatrizzata nei corridoi del potere di Washington e nei salotti buoni di Wall Street. Molti degli autori di quell’errore costosissimo – gli uomini e le donne che decisero di rifiutare aiuti di Stato per Lehman, mettendo a repentaglio l’economia del pianeta – sono ancora nelle stanze dei bottoni. Tim Geithner, il capo della Fed di New York ai tempi della crisi, è ora ministro del Tesoro, Ben Bernanke rimane a capo della Fed, i super-avvocati e grandi banchieri di Wall Street come John Mack, il capo della Morgan Stanley e Lloyd Blankfein di Goldman Sachs sono ancora tutti lì. E ricordano bene le conseguenze dei loro atti – o non-atti – in quel weekend di fuoco a metà settembre del 2008 e non hanno nessuna intenzione di riviverlo con la colonna sonora in greco moderno ed i sottotitoli.

Il paradosso delle relazioni UsaEuropa in questo momento così difficile è che gli americani si sentono in grado di dare consigli agli europei proprio perché commisero svarioni clamorosi durante la «loro» crisi.

Chiaramente, le autorità americane non la vedono così. Dal loro punto di vista, il fatto che le loro azioni abbiano evitato (di poco) un’altra Grande Depressione va celebrato e preso ad esempio per altri.

E’ questa arroganza intellettuale (e memoria selettiva degli eventi del 2008) che la settimana scorsa ha portato Geithner ad alzare il telefono rosso e chiamare i colleghi europei per esortarli a darsi una mossa, a non procrastinare gli aiuti alla Grecia e alle banche europee. «Abbiamo esperienza di queste situazioni», mi ha detto un alto funzionario del Tesoro americano. «Sappiamo benissimo cosa fare e gli europei stanno tentennando». L’ultima frase è l’unica cosa vera che ha detto. Il «triangolo delle Bermude» Bruxelles-Parigi-Francoforte ha bloccato ogni decisione sulla crisi greca, lasciando il Paese e gli investitori in mare aperto. Qualsiasi cosa succeda ora, è ormai troppo tardi per salvare la Grecia dal default e da anni di durissime riforme fiscali ed instabilità sociale. Di fronte alla latitanza dei governi, hanno deciso i mercati – basta guardare a quanto il governo di Atene deve pagare in interessi sul suo debito.

La vera battaglia ormai è salvare l’euro evitando il contagio dalla Grecia al Portogallo e all’Irlanda e, ancora peggio, alla Spagna e all’Italia. E’ questo che spaventa davvero gli investitori e dovrebbe fare venire i brividi a cittadini da Everett a Eboli.

L’America ha qualcosa da offrire agli sfortunati governanti europei: i suoi errori in tempo di crisi. Ricordarsi dei ritardi e tentennamenti dell’amministrazione Bush, della Fed e del Congresso (che fece crollare i mercati quando bocciò la prima versione della Tarp, l’iniezione di 700 miliardi di dollari per salvare le banche) potrebbe aiutare Bruxelles e Francoforte a prendere atto della situazione ed agire.

L’azione in questo caso consisterebbe nell’aprire i cordoni della borsa, salvare la Grecia dalla bancarotta con un fondo europeo e convincere banche ed investitori a rinegoziare le obbligazioni che possiedono. Non costerà poco, ma l’alternativa – il non fare niente mentre la situazione diventa impossibile negli altri Paesi a rischio – è molto più cara.

Se c’è una lezione che gli Usa del 2008 possono impartire all’Europa del 2011 è che l’ottimismo non è una buona politica durante una crisi finanziaria. Bisogna sempre aspettarsi il peggio quando ci sono miliardi in gioco, soprattutto se, come nel caso della Grecia, la pazienza degli investitori è ai minimi termini.

Come gli abitanti di Everett sanno bene, pattinare su un ghiaccio troppo sottile non è una buona idea.

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