Usa, con Obama corporation più ricche. Ma gli stipendi dei dipendenti calano
La forbice tra i profitti delle industrie e le retribuzioni non è mai stata così ampia. E più le aziende guadagnano, meno investono. Anzi, tagliano posti di lavoro e guadagnano in borsa. In più gli americani devono fare i conti con i tagli a sanità, edilizia popolare e assistenza agli studenti disabili
Lo attaccano da ogni parte, accusandolo di fare la guerra alle corporation. Temono la riforma fiscale: “Tasse più alte e un diluvio di nuove norme danneggeranno un’economia già ferma”, tuonava poche settimane fa Tom Donohue, presidente della Camera di Commercio degli Stati Uniti, contro Barack Obama. “Stiamo tornando indietro”, chiosava amaro. Ma le cifre raccontano di un’altra realtà: sotto Obama le multinazionali stanno conoscendo una prosperità senza precedenti. Gli americani, invece, se la passano sempre peggio: più i fatturati delle corporation crescono, più si assottigliano gli stipendi dei loro dipendenti. La forbice tra i profitti delle industrie e le retribuzioni non è mai stata così ampia.
“Dalla fine del 2008 – ha spiegato al New York Times Dean Maki, capo economista per gli Usa di Barclays – gli utili delle imprese sono aumentati al ritmo del 20,1% ogni anno, mentre il reddito disponibile non è andato oltre l’1,4%, al netto dell’inflazione”. Non solo: più le aziende guadagnano, meno investono e meno assumono. Anzi, tagliano posti di lavoro e guadagnano in borsa. Dal 2008, anno in cui Obama arrivò al governo, dicono i dati del gross domestic product (il Pil statunitense) riportati dell’agenzia Bloomberg.com – gli utili delle multinazionali sono cresciuti del 171%, più di quanto sia mai avvenuto sotto ogni suo predecessore a partire dalla Seconda guerra mondiale: il doppio di quanto guadagnato sotto Ronald Reagan e il 50% in più di quanto fossero riuscite a totalizzare con il boom di internet negli anni ’90. Un crescendo trionfale che ha toccato il proprio apice lo scorso anno: il 2012 è stato da record, con 1,75 trilioni di dollari incassati solo tra settembre e dicembre (+18,6% rispetto al 2011), il risultato migliore dal 1950. Man mano, però, che le aziende si sono arricchite, gli americani sono diventati sempre più poveri.
Nel 2012, ha calcolato Cnn Money, le retribuzioni hanno toccato il loro minimo storico: nel 2012 i salari hanno rappresentato il 43,5% del gdp, quando nel 2011 ne costituivano il 49%. “Non c’è mai stato negli ultimi 60 anni – chiosa Maki – un periodo in cui questo trend è stato così pronunciato”. La parola chiave è sempre la stessa: crisi. “Finora, in questo inizio di ripresa – ha spiegato al Nyt Ethan Harris, tra i responsabili del board Global Economics di Bank of America – il settore delle corporate è quello che è gode di maggior salute nell’economia statunitense. E finché il mercato del lavoro non si riprenderà, i loro guadagni continueranno ad aumentare”. Ma a questo boom di introiti non corrispondono investimenti in grado di far crescere l’occupazione. I dati ufficiali saranno diffusi venerdì: gli analisti si attendono un tasso di disoccupazione stabile al 7,9%. Questo perché le aziende non hanno remore a licenziare. Un caso su tutti, quello della United Technologies. La conglomerata, una delle 30 companies del Dow Jones, ha visto crescere il proprio fatturato dai 42,7 miliardi del 2005 ai 57,7 del 2012. Non solo in questi anni la sua forza lavoro è rimasta la stessa (218.300 mila dipendenti), ma l’azienda ha già annunciato di voler tagliare altri 3.000 dipendenti, dopo i 4.000 licenziati nel 2012. Il tentativo di mantenere elevati i margini di guadagno non conosce soste.
Non è un caso che United Technologies abbia varato l’ultima ondata di licenziamenti il mese scorso, 4 giorni dopo che il suo titolo aveva toccato il record di 90 dollari in Borsa. Gli sforzi fatti dalla Federal Reserve per tenere bassi i tassi d’interesse, stimolare l’economia e incoraggiare gli investitori hanno fatto sì che Wall Street stia premiando le multinazionali, grazie anche alla crescita dei mercati asiatici e ad un’Europa più stabile: nei giorni scorsi il Dow Jones, l’indice dei 30 titoli principali, è volato a 14.207,94 punti, quota record dal punto massimo di 14.164,53 fatto segnare prima della grande crisi, il 9 ottobre del 2007. Un rally ‘Made in Fed’ con la complicità proprio dei profitti societari, migliori delle attese. Dal marzo 2009, quando ha toccato il minimo storico a 6.547,05 punti, il Dow Jones è più che raddoppiato, guadagnando oltre 7.500 punti. Così lì dove le industrie si arricchiscono, gli americani vedono peggiorare le loro condizioni: oltre che con gli stipendi che non crescono, dovranno fare i conti con gli 85 miliardi di tagli previsti dal sequester, perché ad essere tagliati saranno in primo luogo i programmi di assistenza alle fasce deboli. Secondo il piano presentato dal presidente della Camera dei Rappresentanti, John Boenher, all’Office of Management and Budget, sotto la scure finiranno la sanità (200 i milioni tolti soltanto all’Obamacare), l’edilizia popolare, i fondi stanziati per le emergenze naturali e l’istruzione: solo all’assistenza agli studenti disabili verranno sottratti 633 milioni.
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