Nuova Grande Depressione e hamburger a rischio sulle tavole degli americani
Pandeconomia. Da metà marzo 26 milioni di persone hanno chiesto l’indennità di disoccupazione, ma quelli che hanno perso il lavoro sono molti di più. Per arrivare a simili livelli dopo il 1929 ci vollero due anni e mezzo, stavolta ci siamo arrivati in un mese e mezzo
Potrebbe ben presto mancare la carne sulle tavole di 80-100 milioni di americani, come conseguenza del crollo dell’occupazione nelle ultime cinque settimane ma anche della concentrazione della lavorazione di buoi, maiali e polli in pochi giganteschi stabilimenti. Da metà marzo a oggi 26 milioni di americani hanno chiesto l’indennità di disoccupazione ma quelli che hanno perso il lavoro sono probabilmente molti di più perché lavoratori autonomi e free-lance o migranti impiegati in nero non figurano in queste statistiche.
Il problema della carne nasce dalle caratteristiche dell’industria alimentare negli Stati uniti: per esempio, a causa del Covid-19, Tyson Food ha chiuso il suo impianto di Waterloo, in Iowa, uno stato dove si concentrano non solo giganteschi allevamenti ma anche le strutture di trasformazione. Nel vicino South Dakota lo stabilimento di Sioux Falls ha chiuso dopo aver scoperto che 900 lavoratori erano stati contagiati. Secondo il Midwest Center for Investigative Reporting, a ieri erano 3.700 gli operai colpiti dal Coronavirus in 65 stabilimenti in 24 stati. Benché la maggior parte di questi rimanga aperta, fingendo di adottare precauzioni sufficienti per mettere in sicurezza i lavoratori, la realtà è che ai 17 che hanno chiuso se ne aggiungeranno ben presto molti altri, o per deliberazione delle autorità sanitarie o per il rifiuto dei lavoratori di continuare a rischiare la vita.
Anche in tempi normali i macelli sono luoghi infetti e pericolosi: si sapeva già nel 1906 quando Upton Sinclair scrisse The Jungle sui macelli di Chicago. Quindi è perfettamente possibile che la fragile catena di distribuzione di hamburger, salsicce, petti di pollo e tacchini si fermi in tutto o in parte, con una ripetizione delle risse nei supermercati a cui si è assistito un mese fa per la mancanza di carta igienica.
Anche se i prodotti agricoli in qualche modo continuassero ad arrivare a destinazione, rimane lo choc di dimensioni secolari subito dall’economia americana nell’ultimo mese e mezzo. La crisi del 2008 è già dimenticata, in confronto alla realtà di oggi appare come un raffreddore, e tutti i paragoni ormai si fanno con la Grande Depressione iniziata nel 1929 e da cui gli Stati uniti uscirono di fatto solo a partire dal 1942, grazie alla Seconda guerra mondiale.
Nessuno può prevedere gli effetti a lungo termine della pandemia ma possiamo guardare alle cifre: in gennaio la forza lavoro era di 165 milioni di persone e circa 30 sono oggi senza lavoro, quindi il 18%.
Nel 1929, quando avvenne il crack di Wall Street, la forza lavoro contava circa 50 milioni di persone e i disoccupati erano 1,5 milioni. Nel 1930 divennero 4,5 milioni, nel 1931 8 milioni e, nel 1932, 12 milioni. Quindi per raggiungere quota 18% della forza lavoro ci vollero due anni e mezzo: questa volta ci siamo arrivati in un mese e mezzo.
Vero è che nel 1930 l’amministrazione Hoover non fece granché per alleviare gli effetti del disastro, mentre in queste ore al Congresso si discute il quarto piano di salvataggio dell’economia e la Federal Reserve stampa dollari come fossero banconote del Monopoli, ma tutto questo difficilmente basterà.
La quarantena continuerà negli stati più ricchi e popolosi, da New York alla California, quindi l’impatto sui consumi interni sarà particolarmente brutale. Se gli stati rurali a guida repubblicana metteranno fine al lockdown, come vuole Trump, è probabile che vengano colpiti da una seconda ondata di contagi che li costringerà a ripristinare le misure di sicurezza, con conseguenze anche peggiori.
Interi settori economici sono al collasso, nonostante i generosi sussidi del governo federale: l’estrazione di un barile di petrolio attraverso il fracking costa tre volte il prezzo di mercato attuale. A questo vanno aggiunte le compagnie aeree, il turismo, alberghi e ristoranti, oltre all’agricoltura che – tra le altre cose – rischia di vedere marcire uva, insalata e pomodori per mancanza dei lavoratori stagionali, bloccati al confine dagli editti di Trump.
L’incertezza politica, con un presidente-clown che ogni giorno dispensa i suoi improbabili consigli, per esempio invitare i suoi concittadini a prendere il sole e a iniettarsi candeggina diluita come rimedio per la malattia certo non faciliteranno le cose.
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