Parole, parole e ancora parole. Un tempo bastavano, ora non più. Barack Obama l’altra notte ha parlato della marea nera, rivolgendosi alla nazione, dallo Studio Ovale, nell’ora di massimo ascolto televisivo, come accade solo nei momenti solenni e drammatici per la nazione. Ma il discorso solenne non ha convinto nessuno. E allora ieri il presidente è stato costretto ad abbandonare la retorica.
La British Petroleum ha accettato di creare un fondo di ben 20 miliardi di dollari per risarcire le vittime della fuoriuscita di greggio, cominciata il 20 aprile e ancora in corso.
Venti miliardi sono tanti, più del previsto. E sono stati annunciati proprio alla Casa Bianca, dove in mattinata erano stati ricevuti i dirigenti della compagnia britannica al gran completo. Volti seri, contriti, hanno parlato per venti minuti con lo stesso Obama, poi, a pranzo, per novanta con il vicepresidente Joe Biden, mentre i legali delle due parti definivano gli ultimi dettagli. Nel pomeriggio l’annuncio.
A gestire i venti miliardi sarà un fondo indipendente gestito da Kenneth Feinberg, a cui fu affidato anche quello per le vittime dell’11 settembre.
La Bp non riesce ancora a turare la falla e dunque il problema continua ad essere irrisolto, ma perlomeno ora Obama può proclamare che i responsabili del disastro pagheranno per le loro negligenze e che coloro che hanno subito danni economici verranno in qualche modo ricompensati. La Casa Bianca, accusata finora di compiacenza nei confronti della multinazionale britannica, può finalmente attribuirsi qualche merito e proiettare l’immagine che alla fine la Giustizia prevarrà. In teoria. Restano infatti aperte molte questioni. Il premier britannico Cameron, che ormai è schierato apertamente dalla parte della Bp, ieri ha ricordato che i risarcimenti non potranno essere illimitati, pena il fallimento della società. Come dire: non pensate di rilanciare oltre i 20 miliardi.
L’opinione pubblica americana continua a essere insoddisfatta del modo in cui il governo ha affrontato l’emergenza, con punte di malcontento in Louisiana che ha dovuto subire sia l’uragano Katrina sia la marea nera. Ebbene, oggi gli abitanti di questo Stato ritengono che Obama si sia comportato peggio addirittura di George Bush ai tempi dell’allagamento di New Orleans. Il tasso di approvazione del presidente in carica continua a calare. Solo il 24% degli elettori americani è molto soddisfatto del suo operato, mentre il 44% esprime un profondo disappunto. I delusi sono complessivamente il 57%. Cifra record.
L’annuncio di ieri aiuterà senz’altro Obama a recuperare qualche punto, ma non basterà a mutare il giudizio nei suoi confronti, che il discorso televisivo, aulico nei toni, ma evanescente nei contenuti, ha confermato. Obama ha annunciato la nomina di uno «zar» per l’emergenza, ma senza attribuirgli grandi poteri e ha sollecitato l’America ad abbracciare la causa delle energie pulite, ma senza indicare soluzioni concrete. Il presidente più popolare è diventato il più retorico. Dallo Yes, we can si è passati al Maybe, we can, ovvero dal «Sì, si può fare», al «Si può fare, forse». L’America ha scoperto la vera indole di Obama, che è quella del temporeggiatore, del mediatore riflessivo, sensibile alle pressioni delle lobby, refrattario ad agire sotto pressione e a prendere decisioni nell’emergenza. Predilige i tempi lunghi, talvolta lunghissimi. Sono trascorsi quasi due mesi dall’incidente che ha provocato la falla nel pozzo petrolifero del Golfo del Messico e solo ora il Comandante in capo mette la Bp davvero di fronte alle proprie responsabilità.
Gli americani si chiedono, peraltro, perché le operazioni per chiudere quel maledetto buco nero siano rimaste ad appannaggio della Bp anziché affidate alla protezione civile e all’esercito, come sarebbe stato logico. La risposta è implicita: fino a oggi Obama non è stato in grado di opporsi alle pressioni della lobby petrolifera, i cui interessi sono stati anteposti a quelli della nazione. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
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